“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”
sabato 26 marzo 2011
venerdì 25 marzo 2011
giovedì 24 marzo 2011
L’appassionata polemica su torti e ragioni dell’Unità dopo 150 anni
NEOBORBONICI E ORGOGLIO PERDUTO DEL SUD
di Gigi Di Fiore
Le tante lettere su come il Mezzogiorno fu annesso al resto dell’Italia, giunte al Mattino negli ultimi giorni, possono stupire solo chi ignora l’entità del risveglio di interesse attorno a questi temi.
Da tempo è esploso quello che Lino Patruno definisce «Fuoco del Sud». È la riscoperta dell’identità meridionale, il piacere di definirsi «terroni», riscrivendo, almeno in parte, la storia della fine del regno delle Due Sicilie. Perché in Rete si vienesommersi da sigle di gruppi, tutti con l’obiettivo di rileggere cosa accadde nel 1861? La marea inarrestabile ha ricevuto lo scossone decisivo dal successo del famoso libro «Terroni» di Pino Aprile. Un pamphlet che mette insieme dati storici e vena polemica contro quella che Aprile definisce educazione alla minorità: «Se ti convincono che eri arretrato e resti arretrato, è colpa tua e non di chi ti governa>’, Il passaparola sul libro e le discussioni sulle celebrazioni dei 150 annidi unità d’Italia hanno fatto da volano alla riscoperta di autori e pubblicazioni che, avendo preceduto nel tempo il libro di Aprile, ne hanno fornito materiale e humus. In Rete il popolo meridionale si ritrova al Sud come al Nord. Prima <’terrone» era un’offesa, oggi è diventata una medaglia. Dietro, ci sono associazioni e movimenti, a volte di recente costituzione e di poche decine di iscritti. Le sigle più note, per tradizione e serietà, restano l’Associazione neoborbonica, il Partito del sud, Insorgenza civile, Comitatiduesicilie, Orgoglio meridionale. La mailing list dei neoborbonici fa 15mila contatti.
È solo orgoglio meridionale, la rivalsa di chi non ci sta più ad essere etichettato come fannullone, arretrato, condannato da tare antropologiche al sottosviluppo e all’inferiorità piagnona rispetto al Nord? I neoborbonici nacquero 20 anni fa, con loro c’era anche un ironico Riccardo Pazzaglia. Fu lui a scegliere il nome dell’associazione: neoborbonici, una provocazione per identificare la protesta del Sud con qualcosa che precedeva l’unità perché, come sempre nella storia, non tutto ciò che c’era prima del 1861 era negativo. Gennaro De Crescenzo, attuale presidente dei neoborbonici, è professore di storia e frequentatore di archivi. Un appassionato che contesta il pregiudizio acritico, la storia divisa a fette tra buoni e cattivi, come invece sostiene Aldo Cazzullo a proposito della guerra civile del brigantaggio. Certo alcune forme di estraneità per lo Stato nel sud sono ereditate delle modalità con cui fu costruita la nostra nazione: imposta dall’alto, voluta e realizzata da un’élite, estranea alle popolazioni rurali, come sostennero già Gramsci e in parte Croce. Le classi dirigenti di allora, i notabili latifondisti, fusero subito i loro interessi con quelli della borghesia imprenditoriale del Nord, temendo che quella rivoluzione politica potesse diventare anche sociale.
Le campagne erano in rivolta, la guerra contadina, il brigantaggio, faceva del Sud il vero Far west dell’Italia appena nata. Furono i gattopardi di sempre, che muovevano voti e influenzavano masse popolari, a controllare il Mezzogiorno. E aderirono alle sceltepolitico-economiche dei primi anni dell’unità, privilegiando industrie e finanze del Nord anche a costo di penalizzare le necessità di sviluppo del Sud. La storia a una direzione non fa mai bene e sono convinto che nessuno al Sud pensa ad una secessione, ha nostalgia per i Borbone, o è contro l’unità. L’orgoglio meridionale di oggi comincia dalla rilettura, con documenti, di come diventammo una sola nazione. Non si tratta di dividere, ma di unire. Se si conoscono meglio i percorsi e le identità differenti del processo risorgimentale si ritroveranno forse le ragioni per tenere insieme nord e sud d’Italia che, ignorando le rispettive storie, diffidano l’uno dell’altro, guardandosi con pregiudizio. Cominciamo al Sud: inutile abbandonarsi alla retorica a rovescio del meridionale sempre e comunque migliore degli altri. Certo, le scelte dei primi anni di unità danneggiarono il Mezzogiorno, ma 150 anni dopo va superata la sterile autocommiserazione, la delega delle responsabilità. Partendo dalla rilettura più onesta di storie e culture del passato, l’orgoglio meridionale deve diventare coscienza che oggi più che mai è necessario l’impegno e la serietà di tutti. Neoborbonicí e non.
Fonte: OndadelSud.it
giovedì 17 marzo 2011
UNITA' D'ITALIA?
Un Paese governato da un partito secessionista. A Salerno c'è chi sogna un Regno autonomo. La storia di un'unità che nessuno ci ha raccontato
Il 17 marzo 1861, esattamente 150 anni fa, nacque il Regno d'Italia. Oggi che il vento secessionista spira con forza c'è da porsi delle domande sulla festa odierna. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Giovanni Fasanella.Festeggiare o no i 150 anni dell'Italia unita, il 17 marzo?
Più che festeggiare, sarebbe necessario, salutare e patriottico convocare un consulto di medici al capezzale di un paziente in agonia, l'Italia. Questa era l'occasione migliore per farlo. Ma la politica è distratta. Le istituzioni, se si eslcude la Presidenza della Repubblica, che fa quel che può, sono assenti. La cultura e la storiografia ufficiale sembrano impacciate, se non imbarazzate. Stampa e Tv, salvo rare eccezioni, fanno il resto, annegando l'evento fondamentale della nostra storia in un mare di inutile retorica. Ancora una volta si celebra, invece di raccontare. L'unico dato confortante è il numero impressionante di libri scritti da autori non "autorizzati", divulgatori non di professione che tentanto di riempire i vuoti impressionanti lasciati dalla storiografia ufficiale.
Che l'Italia non goda di buona salute, lo si vede a occhio nudo. Ma che cosa c'entra questo con il Risorgimento?
C'entra, eccome! Una forza politica come la Lega ha messo radici al Nord puntando sulla rottura territoriale del paese e su sentimenti xenofobi e antimeridionali. Al Sud, per reazione, si sta sviluppando sempre più un fenomeno speculare e opposto. Gli shutzen sudtirolesi si dichiarano fieramente austriaci. E il presidente della provincia di Salerno ha la bella pensata di proporre una nuova regione che si chiami "principato di Salerno". E' un caso, se gli italiani non sono d'accordo neppure sulla necessità di festeggiare il loro centocinquantesimo compleanno? No, non lo è: stanno esplodendo tutte le contraddizioni irrisolte della nostra storia unitaria.
E di quale malattia soffrirebbe, dunque, l'Italia?
Sindrome da stress post traumatico. Il rimosso che torna in superficie. Per un secolo e mezzo nessuno ha davvero raccontato agli italiani com'è che sono diventati un Paese unito. Nessuno ha mai detto che l'idea unitaria, per quanto radicata, apparteneva soltanto a un'élite intellettuale, aristocratica e borghese. Che è stata imposta dall'alto attraverso una guerra di conquista, il massacro di civili innocenti -donne, vecchi e bambini-, l'uso sistematico della corruzione, i brogli nei plebisciti per l'annessione, l'uso della malavita organizzata in Sicilia e a Napoli. E ancora, e soprattutto, che l'Italia unita fu il frutto di un progetto geopolitico di una potenza straniera, l'Inghilterra, che aveva bisogno di una sua "colonia" nel Mediterraneo in vista dello scavo del Canale di Suez, che avrebbe aperto una via nuova e più veloce per i traffici con i suoi possedimenti in Oriente. Per questo gli inglesi crearono e finanziarono il "mito" di Garibaldi attraverso la massoneria, la diplomazia, l'intelligence e i loro apparati di propaganda e informazione. Nessuno ci ha mai detto che gran parte delle patologie che affliggono oggi l'Italia hanno una radice proprio nel suo dna, nel modo in cui venne realizzata l'unità.
Dunque, per paradosso, se ne dovrebbe trarre la conclusione che forse era meglio non farla, l'Italia?
Non ho detto questo. Ho detto che forse L'Italia poteva nascere in un altro modo e crescere meglio. Comunque avevamo il diritto di sapere per metabolizzare i traumi della nostra storia. Io credo nel mito unitario. Detesto invece la retorica che lo ha ingessato e oggi rischia di ucciderlo. Le ferite della nostra storia, di tutte le epoche, sono state coperte in malo modo. non si sono mai chiuse davvero, anzi si sono infettate e l'Italia oggi rischia di morire di setticemia. Dobbiamo riaprirle, quelle ferite, pulirle bene, disinfettarle, curarle e ricucirle, se vogliamo arrivare a festeggiare i nostri 200 anni.
Fonte cadoinpiedi.it
giovedì 3 marzo 2011
Verona. Unità d'Italia, comitato chiede la rimozione della statua di Garibaldi
Neonato gruppo antirisorgimentale domanderà al Comune di | |||||||||||||||||||||
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VERONA - Al bando la statua di Garibaldi a Verona e al suo posto quella di Pio IX: stavolta, dopo essere finito bruciato su un falò venetista, l'eroe dei due mondi è finito nel "mirino" dei neonati Comitati antirisorgimentali, un gruppo costituitosi da meno di una settimana e che domani presenterà a Verona adesioni e dirigenti. «Una delle nostre prime iniziative - dice Matteo Castagna, portavoce - sarà di chiedere al Comune di togliere la statua di Garibaldi e issare quella di Pio IX. Poi faremo la proposta di cambiare la toponomastica cittadina e abbiamo già pronto un elenco di eroi della pre Unità, prima di quel gesto violento che non ha unito ma diviso gli italiani e che è stato portatore di guerre civili». Nel novero dell'elenco degli scontri "fratricidi", per Castagna, esponente di una associazione cattolica tradizionalista locale, c'è anche quello del periodo 1943-45 tra gli aderenti alla repubblica di Salò e chi ha combattuto per la resistenza. Secondo Castagna, ai Comitati contro il Risorgimento hanno aderito associazioni e singole persone che gravitano nell'area dei cattolici tradizionalisti, del venetismo, dei movimenti che sembrano richiamarsi al periodo del regno delle due Sicilie. Tra le iniziative annunciate anche l'invito ai cittadini il 17 marzo di non esporre il tricolore; anzi, di non mettere sui davanzali nessuna bandiera. Al massimo, se aqualcuno non sa resistere, quelle degli Stati preunitari. Tra i simboli dei Comitati il leone di san Marco listato a lutto. «Il 17 - aggiunge - daremo vita a contromanifestazioni con banchetti autorizzati per far conoscere la verità sul Risorgimento»; e ancora, volantinaggi e presentazioni di libri. E il Garibaldi sul rogo? «un gesto simpatico - chiosa il portavoce -; non è finita sul fuoco la persona, ma l'idea che rappresenta», su cui il giudizio non è dolce. Fonte Il Gazzettino.it |
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