“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”

giovedì 24 marzo 2011

L’appassionata polemica su torti e ragioni dell’Unità dopo 150 anni

NEOBORBONICI E ORGOGLIO PERDUTO DEL SUD
di Gigi Di Fiore

Le tante lettere su come il Mezzogiorno fu an­nesso al resto dell’Italia, giunte al Mattino negli ulti­mi giorni, possono stupire solo chi ignora l’entità del risveglio di interesse attor­no a questi temi.
Da tempo è esploso quello che Lino Patruno definisce «Fuoco del Sud». È la riscoperta dell’identità meridionale, il piacere di definirsi «terro­ni», riscrivendo, almeno in parte, la storia della fine del regno delle Due Sicilie. Perché in Rete si vienesom­mersi da sigle di gruppi, tut­ti con l’obiettivo di rilegge­re cosa accadde nel 1861? La marea inarrestabile ha ricevu­to lo scossone decisivo dal suc­cesso del famoso libro «Terroni» di Pino Aprile. Un pamphlet che mette insieme dati storici e vena polemica contro quella che Apri­le definisce educazione alla mi­norità: «Se ti convincono che eri arretrato e resti arretrato, è colpa tua e non di chi ti governa>’, Il passaparola sul libro e le discus­sioni sulle celebrazioni dei 150 annidi unità d’Italia hanno fatto da volano alla riscoperta di auto­ri e pubblicazioni che, avendo preceduto nel tempo il libro di Aprile, ne hanno fornito materia­le e humus. In Rete il popolo me­ridionale si ritrova al Sud come al Nord. Prima <’terrone» era un’offesa, oggi è diventata una medaglia. Dietro, ci sono asso­ciazioni e movimenti, a volte di recente costituzione e di poche decine di iscritti. Le sigle più no­te, per tradizione e serietà, resta­no l’Associazione neoborboni­ca, il Partito del sud, Insorgenza civile, Comitatiduesicilie, Orgo­glio meridionale. La mailing list dei neoborbonici fa 15mila con­tatti.
È solo orgoglio meridionale, la rivalsa di chi non ci sta più ad essere etichettato come fannul­lone, arretrato, condannato da tare antropologiche al sottosvi­luppo e all’inferiorità piagnona rispetto al Nord? I neoborbonici nacquero 20 anni fa, con loro c’era anche un ironico Riccardo Pazzaglia. Fu lui a scegliere il no­me dell’associazione: neoborbo­nici, una provocazione per iden­tificare la protesta del Sud con qualcosa che precedeva l’unità perché, come sempre nella sto­ria, non tutto ciò che c’era prima del 1861 era negativo. Gennaro De Crescenzo, attuale presidente dei neoborbonici, è professo­re di storia e frequentatore di ar­chivi. Un appassionato che con­testa il pregiudizio acritico, la sto­ria divisa a fette tra buoni e catti­vi, come invece sostiene Aldo Cazzullo a proposito della guer­ra civile del brigantaggio. Certo alcune forme di estraneità per lo Stato nel sud sono ereditate del­le modalità con cui fu costruita la nostra nazione: imposta dall’alto, voluta e realizzata da un’élite, estranea alle popolazio­ni rurali, come sostennero già Gramsci e in parte Croce. Le clas­si dirigenti di allora, i notabili lati­fondisti, fusero subito i loro inte­ressi con quelli della borghesia imprenditoriale del Nord, te­mendo che quella rivoluzione politica potesse diventare anche sociale. 
Le campagne erano in­ rivolta, la guerra contadina, il bri­gantaggio, faceva del Sud il vero Far west dell’Italia appena nata. Furono i gattopardi di sempre, che muovevano voti e influenza­vano masse popolari, a control­lare il Mezzogiorno. E aderirono alle sceltepolitico-economiche dei primi anni dell’unità, privile­giando industrie e finanze del Nord anche a costo di penalizza­re le necessità di sviluppo del Sud. La storia a una direzione non fa mai bene e sono convinto che nessuno al Sud pensa ad una secessione, ha nostalgia per i Borbone, o è contro l’unità. L’orgoglio meridionale di oggi comincia dalla rilettura, con do­cumenti, di come diventammo una sola nazione. Non si tratta di dividere, ma di unire. Se si cono­scono meglio i percorsi e le iden­tità differenti del processo risor­gimentale si ritroveranno forse le ragioni per tenere insieme nord e sud d’Italia che, ignoran­do le rispettive storie, diffidano l’uno dell’altro, guardandosi con pregiudizio. Cominciamo al Sud: inutile abbandonarsi alla retorica a rovescio del meridio­nale sempre e comunque mi­gliore degli altri. Certo, le scelte dei primi anni di unità danneg­giarono il Mezzogiorno, ma 150 anni dopo va superata la sterile autocommiserazione, la delega delle responsabilità. Partendo dalla rilettura più onesta di sto­rie e culture del passato, l’orgo­glio meridionale deve diventare coscienza che oggi più che mai è necessario l’impegno e la serie­tà di tutti. Neoborbonicí e non.

Fonte: OndadelSud.it

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