“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”

sabato 31 marzo 2012

Veneto: nasce lo sportello anti-suicidi per imprenditori, è boom di chiamate

Da un piao di mesi è partito "Life Auxilium", un progetto per prevenire casi di gesti estremi da parte di imprenditori alle prese con la crisi economica



Redazione Cadoinpiedi.it
Da un piao di mesi è partito "Life Auxilium", un progetto per prevenire  casi di gesti estremi da parte di imprenditori alle prese con la crisi economica
Da un piao di mesi è partito lo sportello "Life Auxilium", un progetto di Caritas, Us, e Confartigianato per prevenire casi di gesti estremi da parte di piccoli imprenditori alle prese con la crisi economica.

Come riporta Treviso Today, "le richieste di contatto proseguono al ritmo di una al giorno, mentre le situazioni che l'associazione decide di prendere in carico sono vagliate più attentamente e indirizzate ad un accompagnamento di tipo psicologico piuttosto che tecnico-finanziario".

L'età media di chiama il numero è di circa 50 anni, ma sono stati registrati diversi casi di under 40. Molto spesso ciò che spinge a farla finita sono le commissioni non pagate e il rifiuto da parte degli istituti finanziari di concedere prestiti.

Fonte: Leggo.it

martedì 27 marzo 2012

IL PARTITO DEL SUD E L'ARTICOLO 18

di Andrea Balìa

Il Partito del Sud è un partito identitario che si batte perché si valorizzi l’orgoglio d’appartenenza territoriale, la riscoperta delle radici, la rilettura della storia in un’ottica più veritiera e non strumentale ai vincitori, e per dare un futuro di rappresentatività politica al meridione d’Italia. Il tutto in un concetto di Sud inteso in modo più universale, dei valori comuni che accomunano tutti i Sud del mondo anche nelle sofferenze. Ma il Partito del Sud è anche un partito progressista, non nostalgico, unitario e repubblicano con un’idea di un futuro federale che garantisca la più ampia autonomia e gestione diretta da parte dei cittadini dei territori del Sud.
In quanto tale non può non dire la sua su progetti e riforme che incidono, forse in modo anche più grave rispetto ad altre zone del paese, sul futuro dei meridionali. E veniamo alla ormai famosa riforma del lavoro in discussione in questi giorni, preparata dall’attuale governo tecnico di Monti e dei professori. Orbene, per dirla tutta, la riforma in questione può contenere anche elementi interessanti sotto l’aspetto delle regolamentazioni sulla precarietà, pur affrontando non in toto la questione e lasciando inspiegabilmente sacche non risolte di figure ritenute alla stregua di non più che degli ectoplasmi. L’asino casca però drammaticamente sulla ridefinizione delle regole riguardanti il famigerato articolo 18.
Un po’ di domande e riflessioni sorgono spontanee:
1) non crediamo, come sostiene il governo tecnico, che gli investimenti stranieri siano legati a ciò, e che manipolandone le regole questi verranno attirati magicamente ed in modo considerevole. Tutti sanno, e poi basta chiederlo ad un po’ d’imprenditori non italiani, che i problemi sono ben altri : la criminalità diffusa e mal controllata, l’esosità del sistema fiscale e dei costi elevati per la contribuzione, al di là degli stipendi, delle maestranze; e il tutto attraverso una burocrazia lenta e articolata in modo farraginoso e complicato.
2) “ non ci sarà una valanga di licenziamenti” dichiara il Presidente Napolitano, e con lui la “ministra” Fornero ed il buon Monti. Forse potrà essere vero, ma di certo in più ve ne saranno, visto la semplificazione a liberarsi di dipendenti, in un momento di difficoltà economica e del mercato. Anche pochi, fossero decine o centinaia, licenziamenti in più non sono da auspicare in questo momento, e quindi invece di portare linfa facilitiamo la sottrazione d’ossigeno all’occupazione.
3) perché il mercato dovrebbe avere un sussulto positivo con meno operai, dipendenti? Meno forze lavoro vuol dire meno capacità di produrre. E’ elementare ma sembra un arcano…
4) così si fa in altre parti d’Europa, vedi Germania, e dobbiamo adeguarci. Anche qui l’esempio è al limite del ridicolo ed improponibile. Innanzitutto se facessimo come i tedeschi ci sarebbe la doppia opzione reintegro/risarcimento anche nel caso di licenziamento per ragioni economiche. Poi prendiamo ad esempio una partita di calcio : il terreno di gioco è condiviso per tutte e due le squadre, undici contro undici, e regole stabilite identiche per i duellanti. A queste condizioni se una delle squadre perde o gioca male, l’altra può essere portata ad esempio per copiarne sistema di gioco e organizzazione. Ma il tutto con le premesse dette. Quindi è risibile paragonarci alla Germania, ovvero applicare regole similari (e manco ciò si vuol fare) in condizioni ampiamente diverse. Gli operai tedeschi guadagnano il doppio dei nostri, la disoccupazione è su livelli fortemente meno preoccupanti, l’economia cresce ed i servizi civili sono di ben altra natura. E allora di cosa stiamo parlando? Che cavolo di paragone è?
Riteniamo quindi, senza il timore d’essere tacciati per vetero filocomunisti, che l’argomento sia pieno di non giustificazioni plausibili. Del resto se Confindustria e tutta la destra, PDL in testa, condivide la riforma, qualcosa vorrà pur dire; ovvero che i loro interessi non sono minacciati, e che notoriamente non coincidono con quelli degli operai. Ultima considerazione riguarda il concetto di dire : “parlatene pure in Parlamento, ma tanto non la modifichiamo”. Ebbene allora il Parlamento che ruolo ha? Se è un qualcosa che somiglia ad una dittatura possono anche dircelo chiaramente. E poiché il Sud vive tutto ciò in condizioni notoriamente più gravi, difficili e complicate, se permettete non condividiamo e ci preoccupiamo molto.


Andrea Balìa co/Presidente Nazionale del Partito del Sud.

domenica 11 marzo 2012

RESISTEREMO UN MINUTO IN PIU' DEI PADRONI !!
ANCORA UN RINVIO NEL PROCESSO MARLANE.
PROSSIMA UDIENZA IL 30 marzo 2012
ANCORA UNO SCHIAFFO AI TANTI MORTI E AMMALATI PER LAVORO.
IL 30 marzo NUOVO SIT IN DAVANTI IL TRIBUNALE DI PAOLA ALLE ORE 9
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Archeologia industriale ed umana
di Francesco Cirillo
Sembra incredibile che una struttura di questa grandezza, maestosità,imponenza, totalmente abbandonata e degradata stia al centro di una cittadina , considerata turistica, come è Praia a Mare. Uno scheletro enorme che emerge fra campi ancora coltivati, palazzi speculativi per turisti e residenti fatta di amianto,ferraglia arrugginita,carcasse di auto. Si entra da un lato, quasi nascosto posto proprio alle spalle del cimitero praiese. Di fronte c’è la linea ferroviaria , dall’altra parte scorre veloce la strada provinciale , che delimita un altro scheletro che è quello della famigerata Marlane. Entriamo nello stabilimento della Lini e Lane dove campeggia gigantesco, a mo di guardiano un enorme  serbatoio in cemento-amianto. E’ come entrare in un enorme discarica a cielo aperto. Una discarica invisibile che non vede nessuno, né il sindaco Lomonaco , né l’ASL. I tetti sono in amianto, così altre strutture. I topi sono dappertutto, anche se ci sono cani di ogni razza che li spaventano e li tengono lontani da noi umani. Il silenzio è rotto solo dai treni che passano e che rimbombano all’interno vuoto della vecchia fabbrica. Negli anni 60, questo capannone,  era il fiore all’occhiello di tutta la Calabria. Vi hanno lavorato fino a 400 persone. Da qui uscivano lenzuola, ricami, fazzoletti, tovaglie per tutta Italia. Lo stato di allora, i governi di allora,  i vari panzoni , forchettoni democristiani, venivano a visitarla periodicamente rivendicandone nuovi finanziamenti e nuovi incentivi. Così come alla Marlane e in tutte le fabbriche tessili dell’epoca, a Castrovillari, come a Cetraro, ed a Scalea,   da qui , non uscivano solo, “lini e lane” ma anche voti a profusione per la Democrazia Cristiana. Basta leggere le interrogazioni parlamentari , finte, che gli stessi democristiani calabresi rivolgevano ai loro stessi governi democristiani.  Le facevano dimostrando interesse per gli operai e poi in parlamento votavano per le dismissioni. Le interrogazioni del  1967 portano la firma di Mariano Luciano Brandi, socialista saprese, di area manciniana che fu deputato dal 1968 al 1972. Le altre del  1979 portano la firma di Romei, Buffone, Cassiani, Pucci. Democristiani doc che hanno fatto la storia del partito e della Calabria. I sindacati reggevano il sacco ai partiti. Si accontentavano di esistere con le loro tessere ed anche loro ne approfittavano per ottenere qualche indotto lavorativo, come avveniva alla Marlane dove la triplice sindacale si era spartita tutto l’indotto esterno della Marzotto costituendo cooperative e mettendovi a presiedere i segretari capi sindacali di Praia a  Mare. Loro sapevano tutto su che fine facevano quelle industrie tessili che si reggevano solo con i cospicui finanziamenti delle varie Casse del Mezzogiorno, Isveimer, IMI, GEPI. Sono gli operai che non lo sapevano. Operai che provenivano tutti dal mondo contadino, che non avevano mai visto uno stipendio mensile, e che per loro anche una cifra modesta ricevuta ogni mese, serviva loro per incentivare i loro sogni. Veder e il figlio laureato, pagare qualche debito, comprarsi l’auto, magari una cinquecento, o un tre ruote per andare il pomeriggio in campagna, finirsi la casa costruita mattone per mattone da loro stessi. Stefano Rivetti, il conte biellese, arrivò trionfante in queste zone. Con le tasche piene di soldi dello Stato e con la voglia di arricchirsi ancora di più. Aprì aziende , prima a Maratea, chiamate R1 e R2, poi a Praia, appunto la Lini e Lane, poi a Tortora, la PAMAFI, acronimo di PAdre, MAdre e FIglio, dove costruì serre per coltivazioni ed allevamenti.  Il conte Rivetti proveniva da una famiglia di industriali. Già nel 1879, il nonno  Giuseppe possedeva ben 4 stabilimenti nel biellese, precisamente a Mosso. Con il novecento, le aziende diventano lanifici e si specializzano nella produzione di cascami di rayon. Il padre Oreste continua negli investimenti in questo ramo. Ma l’intuizione di Stefano è stata quella di vedere nel sud la soluzione alla crisi che il settore già stava attraversando. Non è lui ad investire, ma lo Stato. Stefano Rivetti è amico dell’on.Colombo, potente democristiano lucano,  e attraverso lui riesce ad ottenere miliardi di vecchie lire. Il conte non investe solo nell’industria tessile ma anche in strutture alberghiere. Ne costruisce una esclusiva per quell’epoca, l’Hotel Santa Venere, su una bellissima scogliera di Maratea. L’Hotel diventa meta di ricchi , artisti, diplomatici, politici provenienti da tutta Italia.  Se le attività industriali mostrano la corda quelle turistiche invece vanno bene. Il conte Rivetti a questo punto molla tutto e vende ciò che aveva avuto in regalo dallo stato prima alla Lanerossi, poi all’Imi ed infine arriva Marzotto. Nel 1963 ecco il colpo finale,geniale. Nemmeno Berlusconi nella sua megalomania arrivò a tanto. Stefano Rivetti pensa al suo mausoleo personale. Dona al Comune di Maratea una statua che dovrebbe raffigurare il Cristo, ma che al quale  è poco somigliante. In tutte le iconografie del volto di Cristo non ne troviamo una con i capelli ricci e la barba corta. Di solito Cristo è raffigurato con i capelli lunghi e la barba lunga a punta. E’ chiaro che la somiglianza è verso se stesso. La statua la seconda più alta del mondo  è alta 21 metri con un apertura delle braccia fino a 19 metri. Ma non finisce qui. Alla morte del conte avvenuta il 7 ottobre del 1988 la famiglia ottiene  la possibilità di poter seppellire le ceneri all’interno di una grotta basiliana con un dipinto bizantino dell’anno 1000, posta proprio sotto i piedi della statua. La grotta viene privatizzata e munita di due robusti cancelli che ne impediscono l’entrata.
In una presentazione del mio libro “La Marlane : la fabbrica dei veleni” , avvenuta a Maratea e dove intervenne il sindaco , posi la questione , ed il sindaco candidamente rispose di non saperne nulla di questa grotta e della sua chiusura. La statua del finto cristo adesso è l’unica cosa materiale che è rimasta del conte Rivetti e delle sue operazioni finanziarie. Tutto è ridotto a scheletri industriali. Potrebbero diventare musei questi fabbricati. Ma il loro destino è ben altro. Per gli stabilimenti della MARLANE sono in vista nuovi finanziamenti. Si parla di 70-80 milioni di euro per trasformare tutta l’aera in un enorme parco divertimenti costituito da una darsena per 500 posti barca, alberghi , villaggi, centri commerciali. Tutto in nome dello sviluppo, del turismo, del lavoro e soprattutto delle clientele che andranno a formarsi anche in vista delle vicine elezioni amministrative dove tutti i soggetti della politica praiese, nascosti nell’ombra  o in prima fila sono ancora operativi e muovono le fila per essere presenti nell’assise comunale . Antonio Praticò sindaco per 15 anni e poi per interposta persona, tramite il fratello Biagio  per altri 5 anni,  ex consigliere provinciale del PD-Margherita, ex sindacalista della Marlane, ex assessore ai lavori pubblici, ha già pronta una lista, che dicono tutti sarà vincente. Gli altri, quelli contro di lui stanno cercando di coalizzarsi per non farlo vincere. Con loro nell’ombra, l’attuale sindaco Lomonaco, imputato nel processo Marlane, accusato di omicidio colposo plurimo e disastro ambientale per aver ricoperto la carica quale responsabile del reparto tintoria dal 1973 al 1988, e quale responsabile del l’impianto di depurazione dal 1973 al 1988, ed in qualità di responsabile della fabbrica dal 2000 al 2003. I soggetti contro Praticò, provengono quasi tutti dall’attuale amministrazione e li unifica non un progetto alternativo ma solo la consapevolezza che se non fanno una sola lista Praticò ritornerà al comune per i prossimi 15 anni. Intanto litigano per chi deve fare il capolista senza una proposta alternativa. L’eco di questi tamburi di guerra non arrivano nella pancia della Lini e Lane. Lì ci sono topi e immondizia. Tantissima immondizia. E invisibili la dentro vivono anche uomini, donne e bambini. Uomini, donne e bambini,  invisibili, insieme a topi ben visibili. Bambini, come fantasmi girano allegri, inconsapevoli dentro lo scheletro. Nessuno li vede questi fantasmi. Stessero nell’immondizia. Prima , proprio con Praticò, erano stati alloggiati in una casa di proprietà del comune. Giunto Lomonaco , investito da  sindaco, dopo solo tre giorni sono stati buttati fuori.  Le promesse elettorali si mantengono . Adesso c’è un centro anziani, e loro, gli invisibili sono ritornati nella grande balena. Anche da lì Lomonaco ha tentato di cacciare questi invisibili. Ha fatto un ordinanza di sgombero. Ha sigillato gli ingressi, ma loro da invisibili sono ritornati lì, dove potrebbero andare altrimenti  ? La discarica nessuno la vede. Né il sindaco, né l’ASL, eppure al di là di chi vi vive al suo interno, è sempre una discarica, prodotta da anni di incuria ed abbandono. La Lini e  Lane è privata, dicono, ed il comune non può intervenire a ripulirla. Ma il comune potrebbe far intervenire il privato e bonificare tutta l’area dando un riparo dignitoso a quegli uomini,donne e bambini, che molti non  vedono o non vogliono vedere.  Per fortuna , nei nostri paesini di provincia, ancora esiste gente caritatevole, che porta loro, cibo, carne, verdure, qualche soldo per acquistare qualche bombola. Questa gente, vive nella pancia della balena , come Giona, in tre roulotte. La più anziana è oggi ricoverata nell’ospedale di Praia. Fuori dalla roulotte è rimasta la sua bombola d’ossigeno. I bambini intanto giocano con tutto. Riempiono di gioia questo luogo triste. Ma le loro urla di gioia non arrivano fuori dalla balena. Ci sono i comizi elettorali, le primarie, bisogna convincere i giovani a votare, si devono far vedere i nuovi progetti. Che vuoi che siano 8 persone, brutte, sporche e incattivite dalla sporcizia della discarica e che peraltro non votano nemmeno !      
4 febbraio 2012


DIMENTICARCI DELLA MARLANE ?
Di Francesco Cirillo
   
Per istruire il processo alla Tyssen Krupp ed arrivare ad una sentenza di condanna ci sono voluti solo tre anni. Per istruire quello sulla Marlane di Praia a Mare (cosenza) ce ne sono voluti 13 di anni, superando ben tre richieste di archiviazione, due o tre Procuratori del Tribunale di Paola , tre o quattro pubblici ministeri, per giungere ad una congiunzione fortunata fatta dall’attuale procuratore capo Bruno Giordano e dalla Pm Antonella Lauri che questo processo hanno voluto ed hanno lavorato perché si facesse. La Pm Lauri poi è andata via dal Tribunale,trasferita in altra sede, ed al suo posto è subentrata l’attuale Pm Carotenuto, forse meno motivata del suo predecessore.  I rinvii a giudizio dei capi e dei capetti della Marlane di Praia, ben tredici,  sono arrivati mentre nella costa tirrenica cosentina si manifestava contro le navi dei veleni, la Jolly Rosso arenata ad Amantea, e la Cunsky affondata dalla ‘ndrangheta cetrarese davanti la costa di Cetraro , poi scomparsa grazie al governo ed alla Prestigiacomo che ritrovarono un vecchio piroscafo della 1 guerra mondiale al suo posto. La manifestazione ad Amantea del 24 ottobre del 2009, dove parteciparono oltre 30 mila persone, per chiedere la verità sulle navi dei veleni, portò nelle sue rivendicazioni , anche la questione della Marlane e certamente rappresentò una spinta per il procuratore capo Bruno Giordano per la riapertura dell’inchiesta .
Ma tutto questo , non fece i conti con la potenza degli imputati. Imputati eccellenti a cominciare dal comandante in capo Pietro Marzotto,passando per i capetti quali Benincasa, Cristallino,Comegna,De Jaegher,Favrin e finire all’attuale sindaco di Praia a Mare Carlo Lomonaco. Questi capetti, pari a kapò , sono quelli che hanno reso la fabbrica della Marlane da luogo felice di lavoro a campo di concentramento. Pezzi da novanta che evidentemente si sentono impuniti per il loro potere economico che gestiscono, quali piccoli Berlusconi. Favrin è vicepresidente vicario della Confindustria del Veneto; Storer è stato dirigente di marchi importanti quali la Benetton, la Nordica, la Quacker-Chiari&Forti; De Jaegher è consigliere della Euretex e del marchio Hugo Boss,Zucchi e ItalJolly; Bosetti consigliere delegato e vicepresidente della Lanerossi ; Pietro Marzotto che ancora gestisce fabbriche ed operai con un organico al 31.12.2009 di 2885 operai dei quali 1306 in Italia,857 nella repubblica Ceca, 354 in Lituania, 94 in Romania, 264 in Tunisia, 10 in altri paesi.
 I Marzotto ( a sinistra Pietro Marzotto, a destra il nonno con Mussolini)  sono ben conosciuti nel Vicentino dove ancora gestiscono poteri economici vari fino alla realizzazione di impianti a biomasse come a Portogruaro. I Marzotto hanno festeggiato i 175 anni di attività , ed un fatturato di 500 milioni di euro, con una cerimonia celebrativa a Trissino in provincia di Vicenza nella loro villa. Una festa sfarzosa con più di mille invitati . Festa alla quale non sono stati invitati i familiari delle oltre 150 vittime della Marlane. Festa celebrata anche con l’emissione di un francobollo (foto sotto) dedicato alle loro attività. Della loro attività in Calabria restano solo le agghiaccianti testimonianze rese ai giudici in istruttoria, da diversi operai . Si parla di clima teso, di ricatti, di minacce, di paure, di silenzi. Soprattutto di silenzi, dovuti alla paura del licenziamento prima di tutto , e poi  dal peso  delle famiglie da mantenere, dei mutui da pagare, dei fitti da pagare. Intanto i morti per tumore continuavano. Anche quelle morti restavano avvolte nel silenzio.
Nessuno parlava del perché si moriva, su molti referti medici veniva scritto, morto da infarto. Spesso ai funerali partecipavano anche quei capetti oggi imputati. Si mettevano in prima fila, per farsi notare da tutti, e per mandare messaggi chiari alle famiglie, ai superstiti, agli altri operai, che il giorno dopo sarebbero tornati alle stesse macchine, negli spazi vuoti lasciati dai loro compagni di lavoro. Solo nel 2001 il parroco di Maratea, Don Vincenzo, stanco dei funerali di operai provenienti da quella fabbrica, nella sua omelia urlò, “basta con questi morti per tumore”. Il giorno dopo il prete ebbe la visita dei soliti kapò. Minacce velate, avvertimenti,consigli, “fatti gli affari tuoi e lascia stare quella fabbrica” gli venne detto. Il capetto Benincasa , oggi imputato, lo ripetè anche al giornalista Alessandro Sortino, giunto a Praia per un famoso servizio delle Iene trasmesso nel febbraio del 2001 ed oggi ancora in rete, “ se il prete ha detto questo vuol dire che anche i preti dicono le bugie”, disse, ma ammise di essere andato personalmente a parlare con lui.  Ma c’era un operaio che non stava mai zitto e che ancora oggi continua a parlare.
Era Luigi Pacchiano, oggi coordinatore provinciale del Si-Cobas. E’ impietoso Pacchiano, colpito da tumore anche lui, ma sopravvissuto e memoria storica di tutto quanto è avvenuto in quella fabbrica-campo di concentramento dalla sua nascita fino alla sua chiusura. Chiusura avvenuta non per fallimento, ma per le leggi della globalizzazione, e spostata con tutti i macchinari nella Repubblica Ceca. Pacchiano ricorda tutto, ricorda le date di cambio della struttura interna, ricorda i nomi degli operai morti, degli operai ammalati, delle loro famiglie abbandonate dallo stato, dei capetti e dei loro movimenti per nascondere tutto. Pacchiano stana tutti, fa parlare gli operai, fa dire loro la verità,smantellando le paure. E’ lui che ha convinto De Palma,operaio addetto alla lisciatrice,  a parlare e dire come venivano sepolti i rifiuti tossici nel terreno antistante la fabbrica stessa e soprattutto a dire i nomi di chi comandava loro questo servizio che ha provocato un disastro ambientale per tutto il paese provocando chissà quanti altri morti “civili”, fra gli abitanti della zona attorno alla Marlane. La testimonianza di De Palma è in un documentario-inchiesta girato dalla giornalista Giulia Zanfino ed acquisito agli atti nel processo. Documentario che evrrà trasmesso su Rai Tre nella trasmissione “Crash”. Pacchiano ad ogni udienza è davanti al tribunale di Paola e  mette i nomi dei morti sul lavoro listati a lutto, oltre a striscioni scritti a mano su lenzuola bianche a simbolo dei letti dove sono morti i suoi amici operai, con lui ogni volta, ambientalisti del Tirreno, il sindacato Si Cobas al quale Pacchiano appartiene, i centri sociali di Francavilla e Cosenza, l’Arci di Paola, cittadini e naturalmente familiari delle vittime. Nell’ultima udienza il 7 ottobre scorso la solita messa in scena da parte dei difensori degli imputati, certamente non l’ultima. Questa volta la richiesta del rinvio è dovuta ad un legittimo impedimento dell’avvocato dell’imputato De Jaegher. E’ impegnato in un processo a Roma e non può essere sostituito né a Roma né a Paola, quindi l’udienza va spostata. Clamorosamente il Pm Carotenuto da ragione all’avvocato e ne accetta la richiesta. Breve sommossa degli avvocati della parte civile che per bocca degli agguerriti avvocati Lucio Conte e Pasquale Vaccaro, chiedono che i verbali vengano sottoposti alla Procura Generale di Catanzaro per controllarne la legittimità. Il presidente dopo mezz’ora di camera di consiglio accetta la richiesta dell’avvocato di De Jaegher e rinvia al 28 ottobre, annullando anche un’altra udienza già fissata per il prossimo 14 ottobre.  Il gioco al rinvio è stato chiaro fin dall’inizio. Da quando l’avv.Ghedini, da tutti ben noto, chiese ripetuti rinvii dovuti al suo impegno parlamentare per fortuna questi non accettati dal presidente che invece avviò il processo. Altri rinvii, ben tre in sette mesi, produssero anche un interrogazione parlamentare da parte dell’on.Boccuzzi, operaio sopravvissuto della Tyssen. Un precedente rinvio era stato chiesto per la mancanza di alcune fotocopie all’interno di una convocazione ad alcuni avvocati della difesa ed accolto. Alla notizia del nuovo rinvio i familiari delle vittime sono usciti dal Tribunale molto sconfortati. Sanno che molti imputati puntano sulla prescrizione non avendo altre pezze alle quali appellarsi . In Calabria è un gioco che funziona. Ha funzionato per gli imputati eccellenti, tra i quali l’ex assessore regionale all’ambiente Sergio Stancato, che vennero accusati di aver sepolto 35 mila tonnellate di ferriti di zinco nelle campagne della sibaritide, ha funzionato per il disastro ambientale provocato dalla ditta WTS di Tortora dove sparirono in un impianto di depurazione milioni di litri di sangue provenienti dalle macellazioni, ed è un gioco che sta funzionando anche nel procedimento denominato “Poseidone” contro l’ex presidente della Regione Calabria Chiaravalloti che riguarda i soldi spariti nella depurazione. Mentre nel sit in fuori il Tribunale si discuteva del “che fare” per il prossimo 28 ottobre piomba la notizia di una nuova morte per tumore. Si tratta della morte di Franco Morelli. Aveva 70 anni, aveva lavorato sin da giovane nella Marlane, nel reparto filatura, vi era entrato come operaio ed uscito come caporeparto. Aveva due figlie. Morelli si aggiunge al lungo elenco di centinaia di operai morti. Un elenco che è una Shindler list che adesso vorrebbero far dimenticare.
SU MEZZOEURO DEL 22 OTTOBRE 2011


IL SIT IN NON SOLO PER DIMOSTRARE SOLIDARIETA’ E PER SOLLECITARE LA VERITA’ MA ANCHE PER IMPEDIRE CHE SI GIOCHI SULLA PELLE DELLE VITTIME CON RINVII E CON CAVILLI BUROCRATICI .

  

 
MA STIANO TRANQUILLI RESISTEREMO UN MINUTO IN PIU’ DEI PADRONI ! 
 

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Marlane, l'ora del processo       

C’è una data che andrà di traverso alla famiglia Marzotto. È il 19 aprile. Quel giorno, nel 1968, l’ira funesta degli operai abbatteva la statua del conte Gaetano Marzotto nella piazza centrale di Valdagno. Martedì 19, quarantatre anni dopo, si apre a Paola il processo ai dirigenti della Marlane- Marzotto di Praia a Mare, imputati a vario titolo di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e disastro ambientale. Personaggi eccellenti, colletti bianchi, l’intero vertice della fabbrica tessile, tra cui l’ex presidente, il conte Pietro Marzotto.

Una tragica storia di lutti e veleni, di silenzi e complicità. Sessanta operai attualmentemalati di cancro, altri quaranta già deceduti per l’uso di coloranti azoici nella fase di produzione. E, ancora, altre vittime per l’amianto presente sui freni dei telai. Infine, tonnellate di rifiuti industrialimai smaltite, e seppellite impunemente nell’area circostante lo stabilimento. Un’inchiesta durata dieci anni, condotta dal procuratore Bruno Giordano (lo stesso che istruì l’indagine sulle navi dei veleni), che parte da molto lontano. Dalle riunioni che un gruppo di ambientalisti del Tirreno cosentino tenevano a Scalea ogni lunedì alla fine degli anni Novanta. Si incontravano per parlare di erosione costiera, speculazione edilizia, discariche, elettromagnetismo. In uno di quei lunedì si presentarono Luigi Pacchiano e Alberto Cunto operai della Marlane. Per raccontare il dramma di colleghi colpiti dal tumore e morti uno dopo l’altro. Tutto ebbe inizio da lì. Da quell’incontro tra lavoratori e attivisti. A cui si aggiunsero medici, giuristi, operatori dell’informazione, e, poi, le vedove, le famiglie, i malati. A guidare quella compagine di ambientalisti, riuniti sotto la sigla Rischiozero, era il mediattivista Francesco Cirillo che, dodici anni più tardi, ripercorre con Pacchiano e Giulia Zanfino la vicenda della fabbrica praiese nel libro, fresco d’uscita, Marlane: la fabbrica dei veleni (Coessenza, pp.192, 10 euro). «Questo gruppetto di lavoratori, soli, aggrediti dai sindacati ufficiali - scrive Cirillo nella prefazione - dai politici tutti, invisi a parte della cittadinanza compreso il sindaco, colpevolizzati di far chiudere la fabbrica con le loro denunce e far perdere il posto di lavoro a centinaia di padri di famiglia, chiedevano a noi un aiuto. E noi ci mettemmo a disposizione ». Il libro ripercorre, così, la lotta decennale, i protagonisti, il vissuto delle famiglie chiamate a rompere il muro di omertà e di assoggettamento. Un interessante lavoro editoriale che mette insieme tutte le microstorie, i documenti, le perizie, gli articoli di giornale, le interviste, partendo dalla nascita del Gruppo Rivetti–Marzotto negli anni Cinquanta, fino alla sentenza di rinvio a giudizio nello scorso novembre. Il libro prende avvio dalle vicende del conte Stefano Rivetti, dalla sua tomba, posta in cima al monte San Biagio che sovrasta Maratea. È qui, in «un’area dove si incrociano le tre regioni più povere d’Italia» che si presenta Rivetti, il conte, giunto come «un Cristo che deve redimere una terra abbandonata». Grazie ad ingenti finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno, fonda nel 1957 il Lanificio di Maratea, il complesso industriale R1, per poi spostarsi, l’anno dopo, in Calabria, a Praia e per far nascere la R2. «La storia di Rivetti, e poi di Marzotto - scrive Pacchiano - è la storia della nostra subalternità al padrone del nord e al padrone in genere. È la storia di quanto i nostri politici siano stati miserabili nel senso vero della parola. Hanno voluto solo il proprio benessere piuttosto che quello dei lavoratori. La salute di chi lavorava non ha mai interessato loro. Hanno spostato le aziende come meglio hanno creduto, licenziando ed assumendo a proprio piacimento. Hanno approfittato delle scarse condizioni economiche di questa povera gente per far di loro ciò che poi hanno fatto». In effetti, la subalternità della classe politica locale è palpabile. «La Praia perbenista ha dedicato una piazza al conte Rivetti, agli operai morti per il lavoro neanche un vicoletto. A Praia al potere ci sono sempre gli stessi da quarant’anni, legati più o meno al grande serbatoio elettorale che era la Marlane». Oggi quella grande fabbrica tessile non esiste più. Dopo l’era Rivetti, gli stabilimenti furono assorbiti prima dall’Imi (Istituto mobiliare italiano), poi dalla Lanerossi e, infine, dall’Eni che, nel frattempo, aveva rilevato la Lanerossi. Nel 1987 entrò in scena Marzotto. Il resto è una storia silenziata per tanto, troppo tempo. Una narrazione di inquinamento letale e di servilismo politico, ignorata dai mezzi di informazione (eccetto il manifesto e pochi altri) e salita alla ribalta, anche giudiziaria, grazie al lavoro di controinformazione di Cirillo e dei lavoratori. Che in quella fabbrica, ora dismessa, ci sono, poi, tornati per documentare l’abbandono e l’incuria. «Attorno allo stabilimento ci sono solo erbacce. Le ruspe hanno finito di scavare attorno allo stabilimento alla ricerca di metalli pesanti e altre sostanze chimiche. L’elemento più preoccupante ritrovato nel corso dei saggi di scavo è il cromo VI esavalente come dimostrato dalla relazione commissionata dalla Procura di Paola (che il libro pubblica in versione integrale ndr)». Le operazioni di campionamento furono eseguite nel novembre del 2007. Dopo tre anni, stamane alle 10 il processo può aver finalmente inizio ma nel disinteresse della cittadinanza locale. «Praia assiste muta - sottolineano gli autori - quasi a volersi scrollare di dosso il marchio di città tossica». Il sindaco Carlo Lomonaco (Pdl) figura tra gli imputati, quale responsabile del reparto tintoria dal 1973 al 1988, responsabile dell’impianto di depurazione dal 1973 al 1988, e direttore dello stabilimento dal 2002 al 2003. «Ma anche Marzotto vorrebbe dimenticare Praia. Da tempo ha trasferito tutte le sue aziende nei paesi nell’Est. Le famose coperte della Lanerossi hanno già lasciato lo stabilimento di Schio per la Lituania, i tessuti di lana per la Repubblica Ceca, la Marlane forse è finita a Brno». Chi non è scappato sono gli operai come Cunto, Pacchiano (che è anche coordinatore calabrese dell’Osservatorio nazionale amianto) e tanti altri. Che lottano contro l’indifferenza e l’egoismo, i macigni che schiacciano verità e giustizia. Raccontando con minuzia una tragica parabola industriale «affinché storie terribili come queste - scrive Cirillo - non si ripetano più e il rispetto per la vita delle persone che lavorano diventi un punto altro ed incontrovertibile».
Silvio Messinetti dal Manifesto del 17 aprile 2011

Fonte: www.sciroccorosso.org

sabato 10 marzo 2012

MA GUARDA DA QUALE NORD ARRIVA LA PREDICA
in Fuoco del Sud
di LINO PATRUNO

Ovviamente, gli arrestati e gli indagati sono alla Regione Lombardia ma la vera corruzione è al Sud. Ultimo episodio: il presidente del Consiglio regionale lombardo, Boni (Lega Nord), indagato per una mazzetta di un milione. Non meraviglia che a dirottarla sul solito Sud sia stato il presidente (anch’egli leghista) della Provincia di Varese. Galli. Meraviglia che vi si sia accodato un galantuomo come l’ex ministro Bondi.

Ma si sa, quando si tratta del Sud, una botta ci sta sempre bene. Per tenerlo sotto pressione. Anzi, dopo averle sputato addosso per una vita, Galli ha aggiunto che la magistratura lombarda è superiore a quella del Sud.

Invece le cifre dicono che, a vent’anni da Tangentopoli, tutti i maggiori scandali politico-finanziari d’Italia sono avvenuti al Nord. Diciamo Centro Nord perché un posto d’onore spetta a Roma.

Si può dire che è naturale, visto che lì ci sono i soldi. Si può dire che è strano, visto che se ci sono i soldi non dovrebbero cercarne altri.

Il fatto è che ora la corruzione ha avuto una evoluzione (o involuzione) della specie: non sistema dei partiti, ma roba da manovalanza dei partiti, singoli componenti che sempre più spesso, più che a finanziare il partito, pensano a comprarsi la villa al mare. Caso più clamoroso, il tesoriere dell’ex Margherita, Lusi: fa sparire 13 milioni (trattasi di 26 miliardi di lire) perché, dice, mi servivano e me li sono presi. Alé.

Chiedere a qualcuno di dimettersi, significa fare giustizialismo. Per ora e come sempre tutti si affannano a pontificare che ci vuole una legge anticorruzione, dopo aver avuto vent’anni per farla.

Anzi dopo che l’ultimo governo l’aveva preparata lasciandola però in un cassetto. Un errore, dice onestamente qualche suo componente di spicco. Un orrore che ci voglia una legge (ancòra eventuale) per impedire che si rubi, anche se non potrà impedire che troppo spesso ci si dia alla politica proprio per rubare. Insomma è tremendo dover affidare una etica nazionale alle (ancòra eventuali) sanzioni.

Così si hanno i sondaggi in base ai quali solo l’8 per cento della popolazione ha fiducia nella politica. Diciamolo senza santificare questa mitica società civile tutta piena di buoni sentimenti. E tutta pronta a dire che il problema in Italia è appunto questa classe politica, come se chi la esprime e chi la vota e chi molte volte la difende provenisse da Marte. I delinquenti non sono isolati, sono solo sfortunati in attesa di riciclaggio, questa la verità. Magari non in parlamento, ma un posto in un consiglio di amministrazione con gettone è sempre pronto. La condanna è sempre “quasi”, mai netta. A cominciare da quella morale.

Ora non facciamo i verginelli: la corruzione c’è in tutto il mondo. Che l’Italia sia fra i primi al mondo, è che siamo sempre i migliori di tutti. C’è soprattutto nei Paesi in cui le regole e le leggi sono più blande, diciamo tutte le repubbliche delle banane di questa Terra. E c’è dove, all’opposto, ci sono regimi autoritari, con la corruzione che si annida indisturbata sotto la dittatura che spadroneggia. Ma non c’è bisogno della dittatura. E’ sufficiente che ci sia Stato dappertutto.

Significa diverse cose. Uno: significa una pubblica amministrazione inefficiente e debordante che, invece di facilitare, impedisce. E più passaggi sono necessari per far andare avanti una pratica, più è probabile che i passaggi debbano essere oliati con qualche bustarella.

Due: significa un peso inaccettabile dell’economia nello Stato, come in Italia. Perché, per dirne una, servizi come i bus o la nettezza urbana devono essere gestiti da politici che poi vanno a caccia di soldi anche per farsi rivotare? O politici che abusano del potere per assumere il nipote, perché corruzione vuol dire anche clientelismo della raccomandazione più che giustizia del merito.

Tre: significa soldi pubblici a pioggia, e qui c’entra il Sud. Con inefficienza e sottosviluppo che permangono. il politico dice: votami e io faccio arrivare i soldi. E se poi i soldi non li fa arrivare (e non assume questa volta tuo nipote) o è incapace o è poco potente o inadempiente, quindi da non rieleggere. Purtroppo questo è stato quasi sempre il meccanismo di selezione della classe politica al Sud. Non i più bravi (o magari i più onesti) ma i più traffichini, nel senso di bravi a destreggiarsi nel traffico dei denari. Non sorprende che il Sud sia dov’è.

Vedremo ora l’evoluzione del caso Boni. Abbiamo fiducia nella magistratura, dicono tutti. Ma sfortunato il Paese che invece di decidere da sé di non peccare si affida al prete o alla magistratura. E poi, perché la politica non fa piazza pulita da sola invece di far fare alla magistratura gridando poi magari alla persecuzione giudiziaria? Perché un Paese al tramonto si vede anche da questo.

Fonte: “La Gazzetta del Mezzogiorno”