“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”

sabato 28 settembre 2013

Veneto. Buco di un miliardo nella sanità: rischio commissario e direttori in pericolo


VENEZIA - I numeri non sono mai una opinione, anche se è vero che si possono leggere in modo diverso. La sanità veneta che in questi giorni si è dovuta presentare a Roma con le carte dei bilanci in mano per la verifica d’obbligoun po’ di sudore alla fronte deve averlo sicuramente avuto. L’obbligo dato ai direttori generali era quello di non aumentare la spesa, ma nessuno è riuscito a rimanere a "zero". Anzi, c’è chi ha sforato e non di poco. Il buco ad oggi? Se non è di un miliardo (fornitori in attesa di un saldo, compresi), poco ci manca. Una cifra enorme. Certo, potranno arrivare i correttivi di fine anno, qualche cosa si aggiusterà con una tirata di redini della gestione: all’appello manca qualche trasferimento, ma l’esercizio in corso, eredità della giunta precedente, scricchiola. E non è un’opinione. Il rischio, questa volta, potrebbe anche essere quello di un commissariamento esterno.

Lo scorso anno il Veneto, con manovre correttive, vendita di beni e quant’altro era riuscito a portare il bilancio in sostanziale pareggio (anche se i fornitori non hanno trovato la soddisfazione che chiedevano). Si era comunque preso le bacchettate da Roma, che aveva anche provveduto a nominare un commissario ad acta: il neo governatore Luca Zaia. «Un’onta», l’aveva definito il Veneto, abituato a stare sempre tra i virtuosi e in odore, cosa accaduta qualche mese dopo, di coordinamento nazionale. E adesso? La situazione non è delle più semplici: i bilanci arrancano e i fornitori (abituati ormai ad essere pagati anche ben oltre i due anni) chiedono conto dei debiti che le Asl nutrono nei loro confronti. Lo hanno già annunciato in passato, andando anche a battere cassa dall’appena arrivato governatore Zaia e facendo partire azioni di pignoramento: 8 aziende creditrici su 10 si sono già mosse. Il rapporto con il partner privato poi diventa sempre più complesso dal punto di vista finanziario: budget così ridotti che a maggio già molti laboratori analisi, ad esempio, non possono più effettuare prestazioni in convenzione.

Non sarà facile alzare la testa, sempre che non si mettano in atto manovre ben più pesanti, come la reintroduzione dell’addizionale Irpef tolta dalla precedente amministrazione regionale, che rispetto al ticket è più equa e non penalizza le classi meno abbienti. Ma c’è chi non esclude anche che qualche "testa" possa cadere. Del resto i direttori generali sono giudicati su una sorta di griglia, rifissata anche lo scorso anno con lo scopo di consentire il raggiungimento dell’equilibrio economico per il 2010. Tra le varie misure fin qui adottate per raggiungere tale obiettivo sono da segnalare per la loro efficacia: l’estensione del ricorso agli acquisti di beni sanitari in Area Vasta e a livello regionale; interventi per il miglioramento dell’appropriatezza delle prestazioni erogate; il costante monitoraggio della spesa farmaceutica e il rafforzamento del ricorso alla distribuzione diretta; la determinazione di volumi di attività e tetti di spesa per gli erogatori pubblici e privati per prestazioni di assistenza ospedaliera, con l’obiettivo del contenimento del tasso di ospedalizzazione; l’ottimizzazione dell’attività dei Dipartimenti strutturali per le attività dei centri trasfusionali; l’allargamento delle procedure di monitoraggio sulla prescrizione ed erogazione dei farmaci ad elevato costo; l’implementazione di un progetto complessivo di riorganizzazione delle cure primarie che possa migliorare l’appropriatezza prescrittiva.

Ma soprattutto, crescita di bilancio nulla. Quasi tutti, Aziende ospedaliere di Verona e Padova comprese, hanno lavorato per presentarsi con i debiti più leggeri possibile: ma pare proprio che la media di crescita sugli anni precedenti sia sensibile.

Fonte: gazzettino.it

martedì 24 settembre 2013

NAPOLI 4 OTTOBRE 2013: MEZZOGIORNO TRA CRISI E SVILUPPO

Ancora una volta il Partito del Sud pone l’accento sulle politiche, più che sulla politica. C’è bisogno di partire dalla crisi per costruire lo sviluppo. In cinese la parola crisi è scritta con due ideogrammi, uno indica la crisi, l’altro indica l’opportunità.
Ecco il Sud deve prendere coscienza di sé stesso, delle proprie potenzialità e passare a leggere la parola crisi come un’opportunità. Le Istituzioni, la Politica devono rendersi conto che il Sud non è una scomoda appendice del Paese, ma la sua vera scommessa di rilancio.


Napoli 4 Ottobre 2013: Mezzogiorno fra crisi e sviluppo. Con Luigi de MagistrisGiovanni CutoloGigi Di Fiore, Antonio Russo e Luca Scandale, modera Alessio Postiglione

Il tema è così importante, così sincrono con le urgenze e le istanze vitali della nostra società e in particolare per il SUD, -(universo orfano di politica vera, informazione, interesse delle istituzioni di competenza e ma anche quelle europee) che i nostri relatori sapranno, per le eccellenti competenze, indicare almeno dei tratti del percorso e dare il primo colpo al taglio dritto dell’aratro e stroncare anche l’ ignavia dei dormienti.Stavolta sarà diverso.

lunedì 23 settembre 2013

La crisi al Sud e la retorica degli sprechi - da MicroMega

I luoghi comuni sul mezzogiorno italiano sono duri a morire. Ma una analisi attenta dei dati indica che non è vero che il Sud è inondato di risorse pubbliche e che l'incidenza dell'evasione fiscale è più alta al Nord. Il mezzogiorno è in realtà vittima della crescente concentrazione geografica del capitale e delle devastanti politiche di austerità. 

di Guglielmo Forges Davanzati
Gli ultimi rapporti SVIMEZ fanno registrare un declino dell’economia meridionale che appare, allo stato dei fatti, pressoché inarrestabile, con un’evidenza empirica che molto assomiglia a un bollettino di guerra. Nel 2012, le regioni meridionali nel loro complesso hanno subìto una contrazione del PIL nell’ordine del -3,2%, superiore di oltre un punto percentuale rispetto al resto del Paese. Il 2012 è stato il quinto anno consecutivo in cui il tasso di crescita nel Sud è risultato negativo: dal 2007 si è ridotto di oltre il 10%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord. Ciò a ragione della caduta dei consumi delle famiglie (-4,2% al Sud, a fronte del -2,8% al Centro-Nord), del crollo degli investimenti (-11% circa, a fronte del -5,4% al Centro-Nord), della riduzione delle esportazioni – soprattutto quelle indirizzate ai Paesi dell’Unione Monetaria Europea – e, non da ultimo, della riduzione della spesa pubblica. La spesa in conto capitale della pubblica amministrazione, a fronte di un obiettivo dichiarato del 45% sul totale nazionale, si è ridotta dal 40,4% nel 2001 al 35,4% nel 2007, giungendo al minimo storico del 31,1% nel 2011. Quest’ultimo dato è significativo giacché smentisce, con ogni evidenza, la visione dominante secondo la quale il Sud è inondato da risorse pubbliche. 

SVIMEZ registra anche che, nel 2013, a fronte di una previsione di riduzione del PIL nazionale nell’ordine dell'1,9%, il Mezzogiorno farà registrare una caduta del prodotto interno lordo pari al 2,5% contro il -1,7% del Centro-Nord. Le previsioni più ottimistiche indicano che, a fronte, di un modesto aumento del tasso di crescita in Italia nel 2014 (+0,7%), esso dovrebbe risultare nullo per il complesso delle regioni meridionali. 

E’ molto diffusa la convinzione stando alla quale l’arretratezza del Mezzogiorno dipende dalla sua scarsa dotazione di capitale sociale: elevata propensione alla corruzione, criminalità diffusa, scarsa attitudine al rispetto delle norme, elevata diffusione dell’evasione fiscale. Si tratta di tesi che non pienamente convincenti e comunque meno robuste di quanto si vuol far intendere. Per due ragioni:

1) Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, esistono al più tentativi di misurazione del “capitale sociale”. In assenza di una sua misurazione oggettiva, è sostanzialmente impossibile – se non per pura congettura – stabilire che il Mezzogiorno ha una bassa dotazione di capitale sociale ed ancor più difficile è stabilire una correlazione fra capitale sociale e crescita. Inoltre, se anche la tesi dominante fosse vera, risulterebbe molto arduo stabilire in quale direzione si muove il nesso di causalità: se, cioè, è il capitale sociale un prerequisito per la crescita o viceversa. Vi è di più. In quanto categoria per sua natura disomogenea, il capitale sociale non si presta neppure a una definizione univoca. 

2) Su fonte Banca d’Italia, si calcola che a fronte del fatto che, al Nord, in media, l’evasione fiscale e contributiva ammonta a circa 2500 euro pro-capite, nel Mezzogiorno l’imposto si assesta, su base annua, a circa 900 euro a testa. In termini percentuali, il tasso di evasione è del 14,8 al Nord e del 7,9 per cento al Sud. L’obiezione secondo la quale al Sud si evade meno perché il reddito pro-capite è più basso può essere ribaltata stabilendo che ci si aspetterebbe semmai maggiore evasione proprio dove i redditi sono più bassi. Né vale l’ulteriore obiezione secondo la quale l’evasione fiscale è relativamente bassa nel Mezzogiorno perché è maggiore l’occupazione nel pubblico impiego. E’ un’obiezione smentita dagli ultimi dati prodotti dalla Ragioneria Generale dello Stato, secondo la quale la maggiore incidenza dell’occupazione pubblica, fra le regioni italiane, si ha in Lombardia e in tutte le regioni meridionali il numero di occupati nella pubblica amministrazione è inferiore a quella del Centro-Nord. Incidentalmente, viene anche rilevato che, nelle regioni meridionali, è maggiore l’occupazione precaria nel settore pubblico. 

Il crescente impoverimento del Mezzogiorno può essere fondamentalmente imputato a due cause.

a) Vi è innanzitutto da considerare un meccanismo spontaneamente generato da un’economia di mercato deregolamentata, che ha a che vedere con quelli che vengono definiti effetti di causazione cumulativa. In altri termini, data una condizione iniziale di concentrazione dei capitali in determinate aree, i capitali collocati nelle aree periferiche trovano conveniente spostarsi in aree nelle quali – attraverso l’operare di economie di agglomerazione e di economie di scala (per le quali al crescere della quantità prodotta si riducono i costi di produzione) – possono ottenere maggiori profitti, perché è più alta la produttività del lavoro. Evidentemente, possono più facilmente migrare imprese di grandi dimensioni che, peraltro, trovano conveniente farlo in quanto competono innovando, e, per farlo, hanno bisogno di operare in ambienti nei quali sussistono le condizioni più favorevoli per generare flussi di innovazione: facile accesso al credito, esistenza di esternalità positive derivanti dall’attività di ricerca attuata da imprese già presenti in loco, presenza di Istituti di ricerca scientifica, ampia disponibilità di manodopera qualificata. Questa dinamica determina crescenti divergenze regionali: in alcune aree si producono beni ad alta intensità tecnologica, nelle aree periferiche (Mezzogiorno incluso) le imprese – di norma di piccole dimensioni e poco esposte alla concorrenza internazionale – competono mediante compressione dei costi, e dei salari in primo luogo. La crescente concentrazione geografica dei capitali si associa a crescenti flussi migratori, che interessano prevalentemente giovani con elevato livello di istruzione. In tal senso, la ripresa dei flussi migratori dal Mezzogiorno è da leggersi come un trasferimento netto di produttività verso le aree centrali dello sviluppo capitalistico. 

b) Negli ultimi anni, il fenomeno è stato accentuato dalle politiche di austerità. La riduzione della spesa pubblica (soprattutto nel Mezzogiorno) e l’aumento dell’imposizione fiscale su famiglie e imprese hanno ristretto i mercati di sbocco, generando riduzione dei profitti e fallimenti. L’aumento del tasso di disoccupazione e la riduzione dei salari sono state le ovvie conseguenze di queste scelte. 

L’inversione di rotta – come, peraltro, invocato da SVIMEZ – richiederebbe ingenti investimenti pubblici nelle aree meridionali, ovvero fare politica industriale (si osservi che la minore divergenza del PIL pro-capite fra Nord e Sud si è avuta negli anni nei quali era operativa la vituperata “Cassa del Mezzogiorno”). E’ difficile aspettarsi che i soli flussi turistici – peraltro localizzati in poche aree del Mezzogiorno e, per loro natura, estremamente volatili – possano, da soli, contribuire significativamente a ridurre il dualismo. 

Fonte: MicroMega

mercoledì 18 settembre 2013

RICOMINCIAMO DA SUD !!



Di Natale Cuccurese
Presidente Nazionale Partito del Sud


Siamo ormai in un mondo alla rovescia, dove le richieste dei cittadini di rispetto della Costituzione Repubblicana ( art. 138) vengono non solo bellamente ignorate, ma addirittura definite demagogiche ed additate come sovversive da una parte di quella stampa che per professione dovrebbe informare i cittadini, per non parlare poi di quei politici per cui il rispetto della legge è solo un fastidioso optional, come ci insegna spesso la cronaca quotidiana.

La virtù repubblicana è additata a colpa, le inemendabili bassezze di buona parte della attuale classe politica elevate a baluardo contro il degrado democratico ed economico, quando ne sono invece spesso la prima causa.

Vorrebbero che i responsabili principali della catastrofe, ben rinchiusi e protetti nei loro inaccessibili palazzi, venissero incensati come statisti e salvatori della patria, vorrebbero solo sudditi adoranti ai loro piedi , ma se continueranno così la volontà dei cittadini e la conseguente rivolta morale li seppellirà democraticamente facendone piazza pulita.

In un paese in cui un’emergenza chiama l’altra quotidianamente, senza che l’emergenza precedente sia risolta, è chiaro che ormai stiamo arrivando al redde rationem.

Vergognoso ed esemplificativo di questo quanto successo a seguito del discorso del Sindaco di Bari, Michele Emiliano, all’inaugurazione della 77^ Fiera del Levante di Bari.

A sentire i vari telegiornali, ad ascoltare le interviste dei vari politici e commentatori di turno, che osannavano la presenza del Presidente Letta, ci sembrava di aver capito che Michele Emiliano avesse fatto un discorso al limite della “sovversione” dell’ordine costituito. Abbiamo provato a leggerlo e rileggerlo, ma non abbiamo trovato nelle sue parole nulla di particolarmente pericoloso per la democrazia, anzi, a meno che dire: “è meglio andare a votare il prima possibile", “i partiti facciano al più presto la riforma della legge elettorale”, “si abbandoni il progetto di modifica dell’art.138 della Costituzione”, e a proposito di Euro “Siamo assieme ad altri Paesi dell’Eurozona una nazione sotto usura”, non siano ormai frasi ritenute sovversive e pertanto non pronunciabili.

Possiamo fare tutte le valutazioni del caso su queste affermazioni, ognuno può dire la sua opinione liberamente apportando il suo contributo di idee, ma dire che tutto ciò non può essere detto ci sembra, in un paese democratico, illogico e pericoloso.

A nostro avviso il ricorso alle elezioni sarebbe invece doveroso proprio per la tenuta democratica del paese, di fronte a questo incredibile e improponibile governo dell’inciucio, dare la parola ai cittadini con il voto è prassi normale in un paese democratico, se il nostro lo è ancora. Altrettanto dicasi per la modifica dell’Art.138 della Costituzione, come già da noi affermato più volte negli ultimi mesi, una eventuale modifica deve seguire le regole e, a nostro avviso , non può essere fatta da un parlamento di nominati. Per l’euro poi bisognerebbe prevedere quanto meno una rinegoziazione dei Trattati.

Non capiamo poi perché un Sindaco di una città metropolitana capoluogo di un’importante regione del Mezzogiorno non possa dire la sua a proposito dei tanti problemi del sud ad un Presidente del Consiglio e a una platea che difficilmente ascolterebbe tali questioni se non di fronte al pubblico fatto compiuto.

Ed infatti il Presidente Letta, stimolato dalla parole del Sindaco Emiliano, ha richiamato nel suo discorso la necessità di mettere al centro del rilancio nazionale il Sud.
Ora lo aspettiamo alla prova dei fatti, quando vedremo che la quantità di investimenti tra centro sud e centro nord, da parte del nostro Paese si andrà ad equilibrare, così come dovrebbe essere in un paese normale e secondo legittima prassi, in un paese in cui qualcuno vorrebbe, senza seguire le regole, cambiare la Costituzione che sancisce anche questo.

In tutto ciò a noi del Partito del Sud è particolarmente piaciuto quanto detto dal Sindaco Emiliano, parole che vorremmo sentire pronunciare più spesso dai nostri politici, parole chiare e coraggiose, lanciate da Bari, legate anche alle tante altre emergenze da risolvere e che accomunano tutto il meridione:

 “ operai rimasti uccisi sul lavoro a Lamezia Terme, come quello dei cittadini di Taranto a causa dei veleni dell’ILVA, e di quelli di Priolo e di Gela, della provincia di Caserta ammazzati da tumori di mafia e di industria che, per guadagnare smisuratamente, hanno colluso tra loro per rendere sterile ciò che al Sud era fertile.”
“Drammi che richiamano quelli delle famiglie degli operai della Bridgestone e della OM, fabbriche delle quali abbiamo il dovere di scongiurare la chiusura.”
“Rimbocchiamoci le maniche e spendiamo il danaro necessario a ricostruire l’Aquila ed a terminare le grandi opere infrastrutturali che davvero servono al Paese.”
“Realizziamo in fretta la nuova tratta ferroviaria Bari – Napoli, raddoppiamo la linea adriatica laddove è ancora a un binario e velocizziamola.”

 “Semplifichiamo le procedure e variamo la legge sulla bellezza, sullaricostruzione dei paesaggi deturpati che sindaci del Sud e Legambiente hanno proposto, prevedendo gravi sanzioni penali per i ladri di paesaggio che portano al nord muretti a secco e ulivi secolari dalla Puglia.
“Puniamo severamente tutti coloro che esercitano violenza sulla bellezza nazionale prevedendo l’arresto in flagranza per deturpatori, inquinatori, scaricatori di immondizie abusive, vandali urbani e parcheggiatori abusivi.”
 Potenziamo il trasporto pubblico.”
Schiacciamo le mafie che stanno ammorbando il Paese, ricostruiamo rigore e severità nella gestione di ogni fase della vita quotidiana e amministrativa delle nostre comunità.”
“Diamo spazio alla cultura e alla creatività, alla ricerca scientifica, sfruttiamo il nostro patrimonio per trasformare il Sud nella capitale della cultura europea, a partire da Taranto, ideale candidata a questo ruolo per il 2019.”

Sulle parole pronunciate sabato scorso a Bari dal Sindaco Emiliano si può iniziare a ripensare una politica concreta e diversa dall'attuale per il Sud, una politica che dia risposta e soluzione alle tante emergenze che attanagliano il Meridione e la sua gente, spesso nel disinteresse degli “strateghi” della politica nazionale.

Ricominciamo da Sud!