Neonato gruppo antirisorgimentale domanderà al Comune di | |||||||||||||||||||||
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VERONA - Al bando la statua di Garibaldi a Verona e al suo posto quella di Pio IX: stavolta, dopo essere finito bruciato su un falò venetista, l'eroe dei due mondi è finito nel "mirino" dei neonati Comitati antirisorgimentali, un gruppo costituitosi da meno di una settimana e che domani presenterà a Verona adesioni e dirigenti. «Una delle nostre prime iniziative - dice Matteo Castagna, portavoce - sarà di chiedere al Comune di togliere la statua di Garibaldi e issare quella di Pio IX. Poi faremo la proposta di cambiare la toponomastica cittadina e abbiamo già pronto un elenco di eroi della pre Unità, prima di quel gesto violento che non ha unito ma diviso gli italiani e che è stato portatore di guerre civili». Nel novero dell'elenco degli scontri "fratricidi", per Castagna, esponente di una associazione cattolica tradizionalista locale, c'è anche quello del periodo 1943-45 tra gli aderenti alla repubblica di Salò e chi ha combattuto per la resistenza. Secondo Castagna, ai Comitati contro il Risorgimento hanno aderito associazioni e singole persone che gravitano nell'area dei cattolici tradizionalisti, del venetismo, dei movimenti che sembrano richiamarsi al periodo del regno delle due Sicilie. Tra le iniziative annunciate anche l'invito ai cittadini il 17 marzo di non esporre il tricolore; anzi, di non mettere sui davanzali nessuna bandiera. Al massimo, se aqualcuno non sa resistere, quelle degli Stati preunitari. Tra i simboli dei Comitati il leone di san Marco listato a lutto. «Il 17 - aggiunge - daremo vita a contromanifestazioni con banchetti autorizzati per far conoscere la verità sul Risorgimento»; e ancora, volantinaggi e presentazioni di libri. E il Garibaldi sul rogo? «un gesto simpatico - chiosa il portavoce -; non è finita sul fuoco la persona, ma l'idea che rappresenta», su cui il giudizio non è dolce. Fonte Il Gazzettino.it |
“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”
giovedì 3 marzo 2011
Verona. Unità d'Italia, comitato chiede la rimozione della statua di Garibaldi
lunedì 28 febbraio 2011
Il fenomeno rivoluzionario nordafricano
Esiste in Italia, come anche in altre parti del mondo, una cospicua porzione di popolazione che è convinta, in cuor suo, che non cambia mai nulla; ogni fenomeno politico o economico come ogni evoluzione sociale o tecnologica non fa altro che confermare l’assetto di sempre. Si tratta di quella maggioranza silenziosa che ha da sempre avallato (e ancora lo fa) il meno peggio tra le opzioni esistenti, partecipando silentemente ma molto più decisivamente di quanto non sembri, alla conservazione dell’esistente. In passato quella maggioranza silenziosa con quel “lasciar fare al manovratore” ha saputo preservare intere civiltà da salti nel buio, ma oggi le cose sembrano andare molto più in là.
Lasciare mano libera al manovratore dalla fine degli anni ’90 in poi ha significato, specie in Italia, non più la conservazione degli assetti sociali esistenti ma terremoti incredibili e quindi veri e propri salti nel buio: l’introduzione dell’euro, l’apertura delle frontiere a persone e cose provenienti da lontanissimo, la finanza d’assalto, l’energia lasciata ad esclusivo appannaggio di una strettissima minoranza planetaria, la rinunzia alla elaborazione di un modello di sviluppo alternativo capace di far decollare il Sud, lasciare colpevolmente che una parte del mondo come il Nordafrica continuasse ad esser tiranneggiato,… sono pratiche politiche che sono state sostenute dalla destra come dalla sinistra e sono state tutte pratiche che avrebbero potuto essere realizzate in modo molto migliore. In definitiva l’Italia e il Sud ne sono stati travolti contro la volontà e l’interesse dei cittadini. La casta politica si è distaccata dalla gente, ha fatto a modo suo, producendo anche il disastro libico, vero e proprio emblema del fallimento delle politiche calate dall’alto.
Il fenomeno rivoluzionario nordafricano è di quelli che sgomentano i perbenisti e colgono di sorpresa gli “esperti”.
Ma anche la crisi finanziaria ha colto di sorpresa gli “esperti”. Anche l’attentato alle Torri gemelle colse di sorpresa gli “esperti”. Anche lo scoppio della bolla internet colse di sorpresa gli “esperti”, come lo scoppio della bolla immobiliare…
Ma non sarà che questi esperti sono degli emeriti imbecilli e che la loro cultura politica -che le Università blasonate si fanno pagare a peso d’oro- è una bufalata pazzesca?
Una cultura politica vecchia ed insufficiente, un personale animato da pastoie da bottega, con obiettivi al massimo regionali come il federalismo, hanno prodotto il risultato che vediamo oggi: il mondo è andato avanti tanto che pure i beduini vorrebbero avere progresso e democrazia mentre i nostri cadono dalle nuvole! Essi in questi anni, al più, sono riusciti a ritagliarsi qualche fetta di potere fidando sul fatto che meridionali e precari, classe media e giovani non avrebbero mai alzato la testa.
E continuano a litigare come dividere tra partiti o tra regioni una torta ormai insufficiente anche per chi la confeziona.

Quindi oggi va detto chiaro e forte alla classe media che per riuscire a lasciare le cose come sempre sono state cioè per riuscire cioè a ricreare una società che cresca in modo solido ed ordinato bisogna che si sostituisca tutta la classe politica.
Ci vuole gente che sappia dirci come fare occupazione, come fronteggiare le ricorrenti crisi petrolifere, come fermare i prezzi, come sveltire la burocrazia, come convivere con centinaia di milioni di disperati che premono alle nostre frontiere, come difenderci dalla invadenza dei Poteri forti, come salvare la finanza dalla prossima crisi,… altro che federalismo o riforme istituzionali entrambi voluti per rafforzare chi è già forte!
Ci vuole una nuova e differente cultura politica.* Economista meridionalista
Fonte ondadelsud.it
lunedì 14 febbraio 2011
Alluvioni nel Veneto, è polemica: «Tolti 100 milioni al Mezzogiorno»
«È in corso l'ennesimo e volgarissimo scippo di risorse a carico della Puglia e delle regioni meridionali», attacca l'assessore regionale pugliese alle Opere pubbliche e Protezione civile, Fabiano Amati, dopo l'approvazione (in Commissione Affari costituzionali e Bilancio del Senato) di un emendamento al decreto milleproroghe «che destina 200 milioni di euro alle regioni del Nord colpite da recenti alluvioni, prelevandoli dalle somme destinate alle regioni meridionali per mitigare il grave dissesto idrogeologico»: «Con l'emendamento approvato», afferma Amati, «si destinano in favore della Liguria e del Veneto 100 milioni del fondo FAS di un miliardo assegnato al dissesto idrogeologico e che appartiene esclusivamente alle regioni del Mezzogiorno».
Fonte il Giornale di Vicenza.
Fonte il Giornale di Vicenza.
giovedì 27 gennaio 2011
ARZIGNANO E GLI EMULATORI DEL CAVALIERE
Ecco cosa ci aspetta Io Ruby, tu rubi, noi rubiamo. Vicenza, Arzignano. La città dell’oro e accanto il puzzolentissimo distretto delle concerie. Qualche mese fa viene arrestato Andrea Ghiotto che i giornali descrivono come “uno schietto, amorale, sbrigativo, sfacciato, anche simpatico”. Finanziere o giu di lì, Ghiotto ha macchine da sogno, lo yacht a Jesolo, una passione per le belle donne, una suite fissa all’hotel Principe. Ma soprattutto è evasore totale. False fatture per 1,5 miliardi di euro, un’Iva evasa per 250 milioni e i soliti appuntamenti a San Marino, Montecarlo e in Lussemburgo. Ghiotto non si fa mancare niente: l’amicizia con il senatore Alberto Filippi della Lega Nord e i soldi passati sotto banco all’ex comandante della Gdf di Arzignano in cambio della pace per sè e i suoi clienti. 180 imprenditori che dopo la sua “cantata” vengono accusati di frode ed evasione, false fatturazioni e corruzione. Due ufficiali della Finanza erano ospiti fissi della sua suite, ma non disdegnavano di frequentarla anche gli imprenditori. Un plotone di escort lombarde e pugliesi erano sempre all’opera. La più costosa delle quali (si dice 15 mila euro a notte, le altre solo 5 mila) proveniva dal gruppo di Giampiero Tarantini. Ghiotto aveva fatto piazzare nella stanza, dietro le tende, tre telecamere: si sa come va quando si tratta di convincere qualcuno a fare il bravo. Nell’inchiesta sono finiti impigliati anche Bruno Mastrotto, il re delle pelli, e Luca Pretto, produttore degli interni di Audi, Ferrari e Jaguar. Lo scorso giugno, Andrea Pasqualetto del Corriere del Veneto intervista Ghiotto: “Ho dovuto rinunciare a molte cose ma, insomma, io non mi spavento mai e vado avanti, vivo alla giornata. Ho ancora un locale in Brasile, il Buddha Pub, a Natal…Certo, rispetto a prima mi mancano il calcio, la scuola, i ragazzi. E le escort”. Lui Ruby, loro rubano.
Una storia che parla soprattutto di quel che ci aspetta ancora e per molti anni. E dice che non è tempo di essere gentili, questo.
Fonte il fatto quotidiano
Una storia che parla soprattutto di quel che ci aspetta ancora e per molti anni. E dice che non è tempo di essere gentili, questo.
Fonte il fatto quotidiano
domenica 16 gennaio 2011
UMBERTO MAGNO E LA FINE DELLA LEGA
Parlare male della Lega è facile, troppo facile. Nata per la secessione, ha ripiegato sul federalismo, quindi è diventata il pilastro di un centralismo, aiutato dal manganello, mai visto dai tempi di Mussolini. Odiava Roma ed è attaccata alle mammelle di Roma come e più di un Mastella qualsiasi. Era contro la mafia e si è alleata con Dell'Utri (Berlusconi è solo una controfigura). Ha tuonato contro i terùn e ora la Lombardia è un feudo della 'ndrangheta e i testimoni di giustizia sono rapiti in piena Milano e sciolti nell'acido. Era per la riduzione delle tasse e abbiamo la tassazione più alta d'Europa. L'unica tassa federale, l'Ici che finiva nelle casse dei Comuni, l'ha abolita Tremorti, il commercialista di fiducia del senatùr. Anelava il ritorno alle origini celtiche, con tanto di mucche, latte, campi di grano e macro corna vichinghe sul capo, ma l'allevamento e l'agricoltura stanno scomparendo insieme ai terreni cementificati grazie alle licenze edilizie concesse dai sindaci leghisti. Casini al confronto è un uomo di parola. Scilipoti una persona di coerenza cristallina. Veltroni un condottiero. Di fronte a cotante balle, terminate inevitabilmente con fallimenti a catena, la Lega sembra più forte che mai. In realtà i suoi voti, in termini assoluti, stanno diminuendo elezione dopo elezione. Il consenso reale cala, ma il suo peso politico, data la debolezza del Pdl, aumenta. E' come un febbrone che colpisce l'organismo quando si indebolisce e l'Italia è sempre più debole. Basta un sotto virus del varesotto per metterla a letto. La Lega non dura. Dura minga. Non può durare.
Fonte BeppeGrillo.it
Fonte BeppeGrillo.it
martedì 11 gennaio 2011
«Boia chi molla!» Quarant'anni fa la rivolta di Reggio
Rivolta fascista, golpista e eversiva: così giornali e tv bollarono quarant'anni fa i moti di Reggio Calabria, una sollevazione popolare come mai si era vista nell'Italia repubblicana. Sette mesi di devastazioni e scontri, scioperi e blocco totale di scuole, trasporti e uffici pubblici, dopo lo scippo del capoluogo di Regione. Una vicenda nata dall'assegnazione della sede regionale calabrese a Catanzaro, con lo smacco per Reggio che contava sul relativo indotto economico: la scelta fu vista come un'umiliazione.
I terribili mesi dal luglio 1970 al febbraio 1971 vengono ora ricostruiti nel volume La lunga notte della rivolta di Mimmo Nunnari, giornalista reggino, vicedirettore della Tgr Rai.
Davvero fu una rivolta golpista ed eversiva? «Marchio bugiardo», dice Nunnari. «Le opinioni autorevoli, riportate nel libro — a cominciare da quella del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, di Giovanni Spadolini, a quell'epoca direttore del Corriere della Sera, Peter Nichols corrispondente del Times e poi Nicola Adelfi, Luigi Maria Lombardi Satriani, Nicola Zitara, Fortunato Seminara e altri — erano state oscurate e ignorate da una congiura mediatica e politica che ha voluto appiccicare ai moti di Reggio l'etichetta di destra, mentre si trattava di una ribellione autenticamente popolare da inquadrare storicamente nell'ambito delle ribellioni meridionaliste con motivazioni essenzialmente legate all'assenza colpevole di uno Stato occhiuto e non governante, distante e con atteggiamento coloniale».
Fuori dalle schematizzazioni ideologiche, anche all'epoca era difficile considerare eversive le anziane massaie vestite di nero che manifestavano a piazza Italia, mentre i ragazzi lanciavano sassi contro la polizia e i facinorosi facevano a pezzi la loro stessa città. In realtà era rabbia per una decisione sgradita, che vedeva l'onore della città calpestato senza andare troppo per il sottile dal governo guidato dal dc Emilio Colombo, e vedeva soprattutto svanire centinaia di possibili posti di lavoro.
L'etichetta di rivolta fascista, al grido di «boia chi molla!», fu attribuita ai moti di Reggio dopo che a cavalcare la protesta dei contestatori si ritrovò un sindacalista fino a quel momento ignoto ai più, Ciccio Franco, dirigente locale della Cisnal (vicina al Msi di Almirante). In realtà Franco si limitò a occupare il vuoto creato dalla fuga della locale classe dirigente dell'epoca, dei partiti di governo e opposizione (Dc, Psi e Pci) e dei sindacati (Cgil, Cisl, Uil) che, di fronte alla scelta di Catanzaro quale capoluogo della nascente Regione Calabria, eccepirono poco o nulla. La destra prese la guida di quella spontanea sollevazione popolare, proprio perché gli altri la snobbavano, senza capire. La rivolta di Reggio si concluse il 23 febbraio 1971 con l'arrivo dei carri armati. Ricorda Nunnari nel suo libro che «era la prima volta, nell'Italia repubblicana sopo il fascismo, che il governo decideva di far ricorso a inusuali forme di repressione, per motivi di ordine pubblico. Ma apparve chiaro che si trattò, in realtà, di una manifestazione di debolezza».
Fonte L'Arena di Verona.
I terribili mesi dal luglio 1970 al febbraio 1971 vengono ora ricostruiti nel volume La lunga notte della rivolta di Mimmo Nunnari, giornalista reggino, vicedirettore della Tgr Rai.
Davvero fu una rivolta golpista ed eversiva? «Marchio bugiardo», dice Nunnari. «Le opinioni autorevoli, riportate nel libro — a cominciare da quella del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, di Giovanni Spadolini, a quell'epoca direttore del Corriere della Sera, Peter Nichols corrispondente del Times e poi Nicola Adelfi, Luigi Maria Lombardi Satriani, Nicola Zitara, Fortunato Seminara e altri — erano state oscurate e ignorate da una congiura mediatica e politica che ha voluto appiccicare ai moti di Reggio l'etichetta di destra, mentre si trattava di una ribellione autenticamente popolare da inquadrare storicamente nell'ambito delle ribellioni meridionaliste con motivazioni essenzialmente legate all'assenza colpevole di uno Stato occhiuto e non governante, distante e con atteggiamento coloniale».
Fuori dalle schematizzazioni ideologiche, anche all'epoca era difficile considerare eversive le anziane massaie vestite di nero che manifestavano a piazza Italia, mentre i ragazzi lanciavano sassi contro la polizia e i facinorosi facevano a pezzi la loro stessa città. In realtà era rabbia per una decisione sgradita, che vedeva l'onore della città calpestato senza andare troppo per il sottile dal governo guidato dal dc Emilio Colombo, e vedeva soprattutto svanire centinaia di possibili posti di lavoro.
L'etichetta di rivolta fascista, al grido di «boia chi molla!», fu attribuita ai moti di Reggio dopo che a cavalcare la protesta dei contestatori si ritrovò un sindacalista fino a quel momento ignoto ai più, Ciccio Franco, dirigente locale della Cisnal (vicina al Msi di Almirante). In realtà Franco si limitò a occupare il vuoto creato dalla fuga della locale classe dirigente dell'epoca, dei partiti di governo e opposizione (Dc, Psi e Pci) e dei sindacati (Cgil, Cisl, Uil) che, di fronte alla scelta di Catanzaro quale capoluogo della nascente Regione Calabria, eccepirono poco o nulla. La destra prese la guida di quella spontanea sollevazione popolare, proprio perché gli altri la snobbavano, senza capire. La rivolta di Reggio si concluse il 23 febbraio 1971 con l'arrivo dei carri armati. Ricorda Nunnari nel suo libro che «era la prima volta, nell'Italia repubblicana sopo il fascismo, che il governo decideva di far ricorso a inusuali forme di repressione, per motivi di ordine pubblico. Ma apparve chiaro che si trattò, in realtà, di una manifestazione di debolezza».
Fonte L'Arena di Verona.
giovedì 6 gennaio 2011
Sanità in Veneto,il buco colpa di Galan?
L'Udc: è della Lega, Bossi sbaglia
Il segretario regionale dei centristi Antonio De Poli: «C'è una sola forza politica responsabile del disastro della sanità veneta, e si chiama Lega Nord. Che è il partito a cui sono appartenuti gli ultimi quattro assessori veneti alla Sanità»
Umberto Bossi accusa Giancarlo Galan di essere il vero responsabile del buco della Sanità veneta. E Antonio De Poli, segretario regionale dell'Udc Veneto, commenta così - in una sua nota - l'esternazione del Senatùr: «Noto negli ultimi giorni un certo nervosismo in casa leghista. Capisco il clima da campagna elettorale, ma un conto sono i proclami, un conto sono le mistificazioni: c'è una sola forza politica responsabile del disastro della Sanità veneta», dice De Poli, «e si chiama Lega Nord. Che è il partito a cui sono appartenuti gli ultimi quattro assessori veneti alla Sanità. Piuttosto, quindi, che bufale del genere spacciate a mezzo stampa, ammettano che l'unico motivo per cui aumenteranno le tasse, colpendo anche la povera gente, è quello di mettere una pezza ai guai che hanno combinato».
Fonte l'Arena.
L'Udc: è della Lega, Bossi sbaglia
Il segretario regionale dei centristi Antonio De Poli: «C'è una sola forza politica responsabile del disastro della sanità veneta, e si chiama Lega Nord. Che è il partito a cui sono appartenuti gli ultimi quattro assessori veneti alla Sanità»
Umberto Bossi accusa Giancarlo Galan di essere il vero responsabile del buco della Sanità veneta. E Antonio De Poli, segretario regionale dell'Udc Veneto, commenta così - in una sua nota - l'esternazione del Senatùr: «Noto negli ultimi giorni un certo nervosismo in casa leghista. Capisco il clima da campagna elettorale, ma un conto sono i proclami, un conto sono le mistificazioni: c'è una sola forza politica responsabile del disastro della Sanità veneta», dice De Poli, «e si chiama Lega Nord. Che è il partito a cui sono appartenuti gli ultimi quattro assessori veneti alla Sanità. Piuttosto, quindi, che bufale del genere spacciate a mezzo stampa, ammettano che l'unico motivo per cui aumenteranno le tasse, colpendo anche la povera gente, è quello di mettere una pezza ai guai che hanno combinato».
Fonte l'Arena.
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