“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”

martedì 11 gennaio 2011

«Boia chi molla!» Quarant'anni fa la rivolta di Reggio

Rivolta fascista, golpista e eversiva: così giornali e tv bollarono quarant'anni fa i moti di Reggio Calabria, una sollevazione popolare come mai si era vista nell'Italia repubblicana. Sette mesi di devastazioni e scontri, scioperi e blocco totale di scuole, trasporti e uffici pubblici, dopo lo scippo del capoluogo di Regione. Una vicenda nata dall'assegnazione della sede regionale calabrese a Catanzaro, con lo smacco per Reggio che contava sul relativo indotto economico: la scelta fu vista come un'umiliazione.
I terribili mesi dal luglio 1970 al febbraio 1971 vengono ora ricostruiti nel volume La lunga notte della rivolta di Mimmo Nunnari, giornalista reggino, vicedirettore della Tgr Rai.
Davvero fu una rivolta golpista ed eversiva? «Marchio bugiardo», dice Nunnari. «Le opinioni autorevoli, riportate nel libro — a cominciare da quella del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, di Giovanni Spadolini, a quell'epoca direttore del Corriere della Sera, Peter Nichols corrispondente del Times e poi Nicola Adelfi, Luigi Maria Lombardi Satriani, Nicola Zitara, Fortunato Seminara e altri — erano state oscurate e ignorate da una congiura mediatica e politica che ha voluto appiccicare ai moti di Reggio l'etichetta di destra, mentre si trattava di una ribellione autenticamente popolare da inquadrare storicamente nell'ambito delle ribellioni meridionaliste con motivazioni essenzialmente legate all'assenza colpevole di uno Stato occhiuto e non governante, distante e con atteggiamento coloniale».
Fuori dalle schematizzazioni ideologiche, anche all'epoca era difficile considerare eversive le anziane massaie vestite di nero che manifestavano a piazza Italia, mentre i ragazzi lanciavano sassi contro la polizia e i facinorosi facevano a pezzi la loro stessa città. In realtà era rabbia per una decisione sgradita, che vedeva l'onore della città calpestato senza andare troppo per il sottile dal governo guidato dal dc Emilio Colombo, e vedeva soprattutto svanire centinaia di possibili posti di lavoro.
L'etichetta di rivolta fascista, al grido di «boia chi molla!», fu attribuita ai moti di Reggio dopo che a cavalcare la protesta dei contestatori si ritrovò un sindacalista fino a quel momento ignoto ai più, Ciccio Franco, dirigente locale della Cisnal (vicina al Msi di Almirante). In realtà Franco si limitò a occupare il vuoto creato dalla fuga della locale classe dirigente dell'epoca, dei partiti di governo e opposizione (Dc, Psi e Pci) e dei sindacati (Cgil, Cisl, Uil) che, di fronte alla scelta di Catanzaro quale capoluogo della nascente Regione Calabria, eccepirono poco o nulla. La destra prese la guida di quella spontanea sollevazione popolare, proprio perché gli altri la snobbavano, senza capire. La rivolta di Reggio si concluse il 23 febbraio 1971 con l'arrivo dei carri armati. Ricorda Nunnari nel suo libro che «era la prima volta, nell'Italia repubblicana sopo il fascismo, che il governo decideva di far ricorso a inusuali forme di repressione, per motivi di ordine pubblico. Ma apparve chiaro che si trattò, in realtà, di una manifestazione di debolezza».
Fonte L'Arena di Verona.

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