“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”

domenica 1 maggio 2011

Vicenza, flash mob contro il nucleare

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Il flash mob inpiazza Castello contro il nucleare 
 
Vicenza. «No al nucleare, sì ai referendum»: è lo striscione esibito oggi a Vicenza da alcune decine di no global che hanno inscenato un flash mob in piazza Castello. Avvolti da fumogeni e con maschera antigas sul volto, vestiti in tuta bianca, i giovani si sono lasciati cadere a terra in ripetute performance. «Dopo il tentativo del governo di impedire il referendum - ha spiegato Marco Palma, portavoce del presidio permanente No dal Molin di Vicenza - e verso lo sciopero generale del 6 maggio, si moltiplicano in tutta Italia le iniziative anche contro il nucleare».
Fonte Il Giornale di Vicenza

sabato 23 aprile 2011

Il Partito del Sud alle comunali di Napoli con Luigi De Magistris



Una frase di Don Milani ha sempre accompagnato la mia vita, risuonando dentro l’ animo come un’esortazione all’impegno attivo, che spesso richiede coraggio e, forse, un pizzico di saggia follia.
Soprattutto quando si tratta di un impegno che fin dall’inizio si preannuncia gravoso, anche in termini personali, ricolmo di rischi e di insidie.
Soprattutto quando lo si reputa doveroso.
Questa frase di Don Milani è in verità una domanda, una domanda semplice e difficile allo stesso tempo, perché obbliga ad una sola risposta.
Chiedeva Don Milani: “Che senso ha avere le mani pulite e tenerle in tasca?”. Qualche settimana fa, ho cominciato ad interrogarmi anche io, dopo il pantano delle primarie del centrosinistra e di fronte alla pressione affettuosa rivoltami da associazioni e movimenti, semplici cittadini e semplici cittadine.
Così ho risposto nell’unico modo possibile: non serve a niente che io abbia le mani pulite se poi le nascondo nelle mie tasche. Non serve a niente che sostenga la necessità di una primavera etico-politica per il Paese se poi non mi impegno in prima persona, se non lo faccio per la città che mi ha visto crescere e che ho amato profondamente e, soprattutto, che amo ancora oggi.
Così alla fine ho superato le fisiologiche titubanze e ho rotto gli indugi, scegliendo di candidarmi sindaco a Napoli, sapendo quanto la sfida anti-sistema sia ardua. Esiste infatti un partito trasversale in Campania: quello del non cambiamento, quello della conservazione dello status quo, quello dell’opposizione verso una pacifica rivoluzione etico-politica. La stessa rivoluzione che la cittadinanza richiede e che stiamo cercando di attuare nella corsa a palazzo S.Giacomo. Utilizzo il plurale perché sono convinto che Napoli è dei suoi abitanti e loro debbano riprendersela, sottraendola ai clan, ai comitati d’affari, ai potentati politici, al furto delle sue risorse e dei suoi beni comuni da parte di questi soggetti. Per questo lo slogan scelto per la campagna elettorale è stato “Napoli è tua”. Senza i cittadini di Napoli questa rivoluzione, di cui mi sento semplice strumento, non è possibile.

E’ stata, la mia, una scelta di amore e passione, di sentimento, di rabbia e di rispetto per una città che avrebbe tante definizioni ma che per me ne ha una sola: è la MIA città.

E’ la NOSTRA.

Adesso però dobbiamo riprendercela.

venerdì 8 aprile 2011

VICENZA, DUEMILA IN PIAZZA PER SAVIANO

L'EVENTO. Folla di vicentini per la presentazione di "Vieni via con me" alla libreria Galla con megaschermo all'aperto. «La mafia? Si è infilata anche qui nelle aziende in crisi. Ma se al sud si è omertosi per paura, al nord  si è omertosi per convenienza»

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Vicenza. Vicenza è magica per Roberto Saviano. Non tanto, o non solo, perché due o tremila persone riempiono piazza Castello per ascoltarlo, quanto perché, con la collaborazione della preziosa e mai abbastanza elogiata scorta, lo scrittore napoletano si è concesso il lusso di una passeggiata nel parco. A Campo Marzo, presumibilmente, anche se lui non precisa. «Sì, oggi ho fatto una passeggiata nel parco - attacca -. Non lo faccio mai, perché non mi è concesso, purtroppo. Ma questa è una di quelle giornata che mi mette allegria, col sole, calda. Una giornata che, da buon meridionale, mi regala stupore, che mi fa scoprire che il sole, qualche volta, viene fuori anche al nord».
Alla libreria Galla c'è un'organizzazione militare. Nel vero senso della parola perché, tanto per dire, Saviano non può andare a parlare nella saletta al primo piano per «motivi di sicurezza». E poi, alla fine dell'intervento, dopo aver fornito allo scrittore, su richiesta dell'editore Feltrinelli, la giusta dose di ghiaccio secco necessaria per ovviare all'infiammazione del polso affaticato da dediche e autografi, gli organizzatori devono far rispettare rigidissime regole di precedenza e attesa durante le lunghe code.
«Con Isabel Allende e Magdi Allam - ricorda Alberto Galla - abbiamo avuto la libreria piena e lunghe code per gli autografi. Ma nessuno era mai riuscito a riempire piazza Castello davanti al megaschermo. Un record. E per questo devo ringraziare l'amministrazione comunale per la collaborazione».
Uno scrittore famoso che riempie una libreria e una piazza parlando della sua trasmissione tv e del libro che ci ha scritto e che «per qualche settimana è riuscito a superare in classifica quello del papa» è un fenomeno che rischia di far venire le vertigini. Ma la gente è qui per lui, per quel che scrive, per quello che dice e racconta, perché è «quello della televisione»?
Probabilmente per tutte le cose insieme, ma soprattutto perché vedono in lui la persona che ha messo alla berlina «loro». Loro chi? Quelli della macchina del fango, per esempio, magistralmente dipinti nella storia numero due di "Vieni via con me", o quelli della 'ndrangheta al nord (storia numero tre). Loro, insomma.
«Quando la trasmissione con Fabio Fazio ha iniziato ad avere successo - ricorda Saviano - loro hanno iniziato ad avere paura. Hanno cercato di bloccarci gli ospiti, hanno avviato la macchina del fango dicendo che questi ospiti costavano troppo, che giravano soldi. Tu critichi ma guadagni, mi dicevano, e quindi sei come tutti gli altri. Ecco il loro piano: vogliono farci credere che siamo tutti uguali, ecco a cosa serve la loro macchina del fango».
Già, loro. Quelli che, insomma, si capisce scendono a patti con la mafia, la 'ndrangheta, la criminalità organizzata che, nonostante i nomi, non sta solo al sud. «No, non sta solo al sud - rincara la dose Saviano - perché qui al nord ci sono imprenditori in difficoltà che si alleano col denaro della mafia. Un giornale di quelli, poi, ha titolato "Saviano dice che il nord è mafioso", accendendo la solita macchina del fango. Dicendo quello che ho detto, semmai, ho difeso il nord, l'ho messo in guardia dal morbo. Ripeto: le inchieste hanno dimostrato che imprenditori in difficoltà del nord sono finiti avviluppati nel denaro della criminalità organizzata. E se al sud si è omertosi per paura, al nord si è omertosi per convenienza».
Boom, applausi in libreria e, ancor di più, applausi in piazza. Proprio nel giorno in cui Luigi Schiavo, presidente dei costruttori di Ance Veneto ha spiegato, sulle infiltrazioni mafiose nelle imprese edili, come sia «essenziale sostenere iniziative preventive coinvolgendo l'associazionismo, la politica e la società civile». L'omertà può attendere.
Fonte Il Giornale di Vicenza.

sabato 26 marzo 2011


Scambio di sms, battaglia navale, barzellette: ecco la vita dei consiglieri veneti.

Gli studenti di un liceo di Montebelluna scandalizzati dalla
visita a Regione, Provincia e Comune: «Nessuno li controlla»

(archivio)VENEZIA - Sbracati, indolenti e irrispettosi: questa l'immagine che i politici danno di sé. L'impietosa istantanea è stata scattata dagli studenti dell'istituto "Veronese" di Montebelluna, che assieme alla professoressa di storia, Paola Faccin, hanno visitato due consigli comunali, il consiglio regionale e il consiglio provinciale di Treviso. Una vera e propria delusione per gli studenti del liceo, che avevano visto nelle visite guidate ai luoghi delle istituzioni l'opportunità di accrescere il proprio bagaglio culturale, imparando sul campo l'educazione civica.

Nella sostanza il tour è diventato una sorta di visita al museo degli orrori e ha permesso agli studenti di stilare un vero e proprio elenco dei comportamenti incivili adottati dai rappresentanti del popolo. «Nel consiglio regionale, un relatore ha esordito raccontando una barzelletta di dubbia moralità -spiega un ragazzo di seconda superiore -. Lo ha fatto nonostante sapesse che noi eravamo tra il pubblico». Verosimile che a scandalizzare i 16enni non siano stati tanto i contenuti spinti della barzelletta, quanto l'opportunità di raccontarla in un contesto formale come quello.
«Io - aggiunge la sua compagna di banco - ne ho visto uno giocare a battaglia navale col suo vicino. Si facevano i sorrisetti e si passavano il foglietto». A scandalizzare i ragazzi è stata fondamentalmente la mancanza di rispetto dei politici verso l’istituzione che rappresentano: del resto la filza dei comportamenti censurati dai ragazzi è lunghissima, e non manca davvero nulla. «Un consigliere per ammazzare la noia - spiegano - e si vedeva che era annoiato perché continuava a sbadigliare, si è messo a confezionare una barchetta di carta con i fogli che aveva sottomano».
E la lista si allunga con il cibo portato dentro l'aula e i messaggini inviati col cellulare. «Lo scambio di sms era continuo - racconta una studentessa -. Cose che in classe non sono neppure lontanamente immaginabili costituivano l’assoluta normalità. Dovrebbero dare il buon esempio, invece erano costantemente impegnati a inviare messaggi o a smangiucchiare panini. Anche in presenza di qualche collega che, a loro fianco, stava facendo un intervento».
«Il progetto - spiega la docente - prevedeva la visita dentro i palazzi delle istituzioni. Dal consiglio regionale, al Sant'Artemio, passando per il consiglio comunale del comune di provenienza di ogni studente. Quando ne abbiamo parlato in classe, i ragazzi hanno manifestato la propria insofferenza per quello che hanno visto, sentendo anche il bisogno di raccontarlo pubblicamente». A stupire gli studenti è stata anche l'assenza di pubblico. «Se nessuno va a controllare come lavorano, è chiaro che si sentono legittimati ad agire in questo modo - spiega un altro alunno -. Non c’è ragione di farsi tanti scrupoli, e infatti non se ne fanno».

Fonte Il Gazzettino.it
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giovedì 24 marzo 2011

L’appassionata polemica su torti e ragioni dell’Unità dopo 150 anni

NEOBORBONICI E ORGOGLIO PERDUTO DEL SUD
di Gigi Di Fiore

Le tante lettere su come il Mezzogiorno fu an­nesso al resto dell’Italia, giunte al Mattino negli ulti­mi giorni, possono stupire solo chi ignora l’entità del risveglio di interesse attor­no a questi temi.
Da tempo è esploso quello che Lino Patruno definisce «Fuoco del Sud». È la riscoperta dell’identità meridionale, il piacere di definirsi «terro­ni», riscrivendo, almeno in parte, la storia della fine del regno delle Due Sicilie. Perché in Rete si vienesom­mersi da sigle di gruppi, tut­ti con l’obiettivo di rilegge­re cosa accadde nel 1861? La marea inarrestabile ha ricevu­to lo scossone decisivo dal suc­cesso del famoso libro «Terroni» di Pino Aprile. Un pamphlet che mette insieme dati storici e vena polemica contro quella che Apri­le definisce educazione alla mi­norità: «Se ti convincono che eri arretrato e resti arretrato, è colpa tua e non di chi ti governa>’, Il passaparola sul libro e le discus­sioni sulle celebrazioni dei 150 annidi unità d’Italia hanno fatto da volano alla riscoperta di auto­ri e pubblicazioni che, avendo preceduto nel tempo il libro di Aprile, ne hanno fornito materia­le e humus. In Rete il popolo me­ridionale si ritrova al Sud come al Nord. Prima <’terrone» era un’offesa, oggi è diventata una medaglia. Dietro, ci sono asso­ciazioni e movimenti, a volte di recente costituzione e di poche decine di iscritti. Le sigle più no­te, per tradizione e serietà, resta­no l’Associazione neoborboni­ca, il Partito del sud, Insorgenza civile, Comitatiduesicilie, Orgo­glio meridionale. La mailing list dei neoborbonici fa 15mila con­tatti.
È solo orgoglio meridionale, la rivalsa di chi non ci sta più ad essere etichettato come fannul­lone, arretrato, condannato da tare antropologiche al sottosvi­luppo e all’inferiorità piagnona rispetto al Nord? I neoborbonici nacquero 20 anni fa, con loro c’era anche un ironico Riccardo Pazzaglia. Fu lui a scegliere il no­me dell’associazione: neoborbo­nici, una provocazione per iden­tificare la protesta del Sud con qualcosa che precedeva l’unità perché, come sempre nella sto­ria, non tutto ciò che c’era prima del 1861 era negativo. Gennaro De Crescenzo, attuale presidente dei neoborbonici, è professo­re di storia e frequentatore di ar­chivi. Un appassionato che con­testa il pregiudizio acritico, la sto­ria divisa a fette tra buoni e catti­vi, come invece sostiene Aldo Cazzullo a proposito della guer­ra civile del brigantaggio. Certo alcune forme di estraneità per lo Stato nel sud sono ereditate del­le modalità con cui fu costruita la nostra nazione: imposta dall’alto, voluta e realizzata da un’élite, estranea alle popolazio­ni rurali, come sostennero già Gramsci e in parte Croce. Le clas­si dirigenti di allora, i notabili lati­fondisti, fusero subito i loro inte­ressi con quelli della borghesia imprenditoriale del Nord, te­mendo che quella rivoluzione politica potesse diventare anche sociale. 
Le campagne erano in­ rivolta, la guerra contadina, il bri­gantaggio, faceva del Sud il vero Far west dell’Italia appena nata. Furono i gattopardi di sempre, che muovevano voti e influenza­vano masse popolari, a control­lare il Mezzogiorno. E aderirono alle sceltepolitico-economiche dei primi anni dell’unità, privile­giando industrie e finanze del Nord anche a costo di penalizza­re le necessità di sviluppo del Sud. La storia a una direzione non fa mai bene e sono convinto che nessuno al Sud pensa ad una secessione, ha nostalgia per i Borbone, o è contro l’unità. L’orgoglio meridionale di oggi comincia dalla rilettura, con do­cumenti, di come diventammo una sola nazione. Non si tratta di dividere, ma di unire. Se si cono­scono meglio i percorsi e le iden­tità differenti del processo risor­gimentale si ritroveranno forse le ragioni per tenere insieme nord e sud d’Italia che, ignoran­do le rispettive storie, diffidano l’uno dell’altro, guardandosi con pregiudizio. Cominciamo al Sud: inutile abbandonarsi alla retorica a rovescio del meridio­nale sempre e comunque mi­gliore degli altri. Certo, le scelte dei primi anni di unità danneg­giarono il Mezzogiorno, ma 150 anni dopo va superata la sterile autocommiserazione, la delega delle responsabilità. Partendo dalla rilettura più onesta di sto­rie e culture del passato, l’orgo­glio meridionale deve diventare coscienza che oggi più che mai è necessario l’impegno e la serie­tà di tutti. Neoborbonicí e non.

Fonte: OndadelSud.it

giovedì 17 marzo 2011

UNITA' D'ITALIA?

Un Paese governato da un partito secessionista. A Salerno c'è chi sogna un Regno autonomo. La storia di un'unità che nessuno ci ha raccontato

Il 17 marzo 1861, esattamente 150 anni fa, nacque il Regno d'Italia. Oggi che il vento secessionista spira con forza c'è da porsi delle domande sulla festa odierna. Ne abbiamo parlato con lo scrittore Giovanni Fasanella.

Festeggiare o no i 150 anni dell'Italia unita, il 17 marzo?
Più che festeggiare, sarebbe necessario, salutare e patriottico convocare un consulto di medici al capezzale di un paziente in agonia, l'Italia. Questa era l'occasione migliore per farlo. Ma la politica è distratta. Le istituzioni, se si eslcude la Presidenza della Repubblica, che fa quel che può, sono assenti. La cultura e la storiografia ufficiale sembrano impacciate, se non imbarazzate. Stampa e Tv, salvo rare eccezioni, fanno il resto, annegando l'evento fondamentale della nostra storia in un mare di inutile retorica. Ancora una volta si celebra, invece di raccontare. L'unico dato confortante è il numero impressionante di libri scritti da autori non "autorizzati", divulgatori non di professione che tentanto di riempire i vuoti impressionanti lasciati dalla storiografia ufficiale.

Che l'Italia non goda di buona salute, lo si vede a occhio nudo. Ma che cosa c'entra questo con il Risorgimento?
C'entra, eccome! Una forza politica come la Lega ha messo radici al Nord puntando sulla rottura territoriale del paese e su sentimenti xenofobi e antimeridionali. Al Sud, per reazione, si sta sviluppando sempre più un fenomeno speculare e opposto. Gli shutzen sudtirolesi si dichiarano fieramente austriaci. E il presidente della provincia di Salerno ha la bella pensata di proporre una nuova regione che si chiami "principato di Salerno". E' un caso, se gli italiani non sono d'accordo neppure sulla necessità di festeggiare il loro centocinquantesimo compleanno? No, non lo è: stanno esplodendo tutte le contraddizioni irrisolte della nostra storia unitaria.

E di quale malattia soffrirebbe, dunque, l'Italia?
Sindrome da stress post traumatico. Il rimosso che torna in superficie. Per un secolo e mezzo nessuno ha davvero raccontato agli italiani com'è che sono diventati un Paese unito. Nessuno ha mai detto che l'idea unitaria, per quanto radicata, apparteneva soltanto a un'élite intellettuale, aristocratica e borghese. Che è stata imposta dall'alto attraverso una guerra di conquista, il massacro di civili innocenti -donne, vecchi e bambini-, l'uso sistematico della corruzione, i brogli nei plebisciti per l'annessione, l'uso della malavita organizzata in Sicilia e a Napoli. E ancora, e soprattutto, che l'Italia unita fu il frutto di un progetto geopolitico di una potenza straniera, l'Inghilterra, che aveva bisogno di una sua "colonia" nel Mediterraneo in vista dello scavo del Canale di Suez, che avrebbe aperto una via nuova e più veloce per i traffici con i suoi possedimenti in Oriente. Per questo gli inglesi crearono e finanziarono il "mito" di Garibaldi attraverso la massoneria, la diplomazia, l'intelligence e i loro apparati di propaganda e informazione. Nessuno ci ha mai detto che gran parte delle patologie che affliggono oggi l'Italia hanno una radice proprio nel suo dna, nel modo in cui venne realizzata l'unità.

Dunque, per paradosso, se ne dovrebbe trarre la conclusione che forse era meglio non farla, l'Italia?
Non ho detto questo. Ho detto che forse L'Italia poteva nascere in un altro modo e crescere meglio. Comunque avevamo il diritto di sapere per metabolizzare i traumi della nostra storia. Io credo nel mito unitario. Detesto invece la retorica che lo ha ingessato e oggi rischia di ucciderlo. Le ferite della nostra storia, di tutte le epoche, sono state coperte in malo modo. non si sono mai chiuse davvero, anzi si sono infettate e l'Italia oggi rischia di morire di setticemia. Dobbiamo riaprirle, quelle ferite, pulirle bene, disinfettarle, curarle e ricucirle, se vogliamo arrivare a festeggiare i nostri 200 anni.
Fonte cadoinpiedi.it