“Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d’infamare col marchio di briganti –ANTONIO GRAMSCI -”

martedì 22 ottobre 2013

Mongiana, nasce un museo per la memoria. Così l'Italia smantellò l'azienda calabrese.


di Gigi Di Fiore
Mongiana non vuole dimenticare il suo passato. Ed è un bene. Due secoli fa, Mongiana era centro siderurgico florido, tutta l'area nella piana Stagliata di Micone in Calabria  era considerata una specie di Ruhr versione italiana. Acque e boschi in quantità: l'ideale per questo tipo di attività industriali.

Martedì 22 ottobre, quella che fu la sede dello stabilimento, e che era diventata monumento all'abbandono, diventa museo. Ristrutturata, recuperata nelle sue aree principali, la ferriera potrà diventare luogo di ricordi di un sud industriale. Mongiana come Pietrarsa, come San Leucio.

Regione Calabria, Regione Campania, comune di Mongiana e la Fondazione Napolinovantanove hanno creduto nel progetto di recupero e restauro. L'inaugurazione di martedì, con uno dei principali studiosi della storia di quest'opificio, l'architetto napoletano Gennaro Matacena, è il coronamento del recupero.

Quella di Mongiana è storia troppo nota e dolorosa per rievocarla in dettaglio. Il polo siderurgico nacque negli anni del regno di Ferdinando IV di Borbone. Produceva semilavorati e venne considerato struttura fondamentale anche nel decennio francese. Le ferriere Nuove Regie divennero un fiore all'occhiello nel regno delle Due Sicilie. Progettista, nel 1771, fu l'architetto napoletano Mario Gioffredo. A Mongiana furono prodotte le materie prime per il ponte in ferro sul Garigliano e la ferrovia Napoli-Portici.

La fonderia aveva tre altoforni: Santa Barbara, San Ferdinando e San Francesco. Vi si produceva ghisa di alta qualità, simile a quella inglese. Le ferriere divennero sette, poi il complesso si ampliò con una fabbrica di armi. Nel 1860, lavoravano 1500 operai che si insediarono nella zona con le loro famiglie.

L'unità d'Italia portò allo smantellamento. Nel 1864, la commissione per le ferriere favorì la vendita ai privati, privilegiando gli insediamenti siderurgici del nord per la loro vicinanza ai complessi industriali di Piemonte, Lombardia e Liguria. Poi, atto finale, la vendita all'ex garibaldino Achille Fazzari. Sperava in aiuti statali, ma non arrivarono. Gli impianti furono piano piano smantellati, le strutture vendute. Rimase l'area Ferdinandea, dove si produceva acqua minerale, con una centrale idroelettrica e una segheria. Fu il declino, la chiusura. L'abbandono. Il gioiello industriale della Calabria chiuse. Erano passati appena 14 anni dall'unità d'Italia. 
 
Fonte: Il Mattino

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